Archivio della Categoria 'Opera'

Pesaro, Bianca e Falliero

venerdì 30 agosto 2024

Il Rossini opera festival del 2024 presentava grandi aspettative e a dire il vero non sono andate deluse.Nell’anno in cui Pesaro si colloca come capitale europea della cultura infatti il ventaglio delle proposte operistiche e concertistiche del Rof si è ampliato e non di poco. In particolare ci soffermeremo sulle due nuove produzioni : Bianca e Falliero ed Ermione. Entrambi capolavori del cigno di Pesaro riscoperti e presentati a Pesaro per la prima volta in questo secolo hanno goduto di ottimi allestimenti . Quello firmato da Jean Luis Grinda da noi visionato nell’ultima recita quella del 19 agosto,ha trovato più di un aspetto positivo ; in primis ci e’apparso assecondare l’azione drammatica con un fluire continuo senza interruzioni dovute ai cambi di scena che sempre più frequentemente appesantiscono gli allestimenti . Non ugualmente condivisibile l’accostamento fra diverse epoche nei costumi e soprattutto una certa mancanza nella cura della recitazione. Significativa la risoluzione del finale lieto visto come un risveglio da un incubo. Indiscutibile e’stato il livello musicale dell’interpretazione sia orchestrale che vocale. Roberto Abbado alla testa dell’Orchestra Nazionale della Rai ha saputo conferire il giusto aplomb alla partitura. Orchestra il cui ritorno a Pesaro e’stato fra le migliori sorprese di questo’anno. Jessica Pratt protagonista sempre di alto livello ci e’apparsa forse troppo intenta a sfoderare i suoi sovracuti piuttosto che a scavare l’aspetto intimistico del personaggio.Aya Wakizono dal timbro non proprio contraltile ha pero’ sfumato con partecipazione un Falliero di tutto rispetto. Preziosa la prestazione di Dmitry Korchak nella difficile parte di Contareno cui faceva da contraltare il notevole Capellio di Giorgi Manoshvili un basso elegante nel canto e nella presenza. Applausi trionfali alla fine.

 

 

 

Il Trovatore a Lubiana

martedì 9 luglio 2024

Grande serata lunedì sera al Cankarjev dom con il Trovatore nella nuova produzione del teatro del Maggio Musicale Fiorentino con la regia di Cesare Lievi ma soprattutto con la direzione del maestro Zubin Mehta,che ha avuto recentemente anche l’onore di avere a Firenze una sala a lui intitolata,considerata anche la dedizione che il maestro indiano ha dedicato al teatro fiorentino. Grande successo dicevamo per un titolo nazional popolare quale Trovatore che fa tremare le vene ai polsi di qualunque direttore e sovrintendente. Diciamo subito che la regia piuttosto semplice di Cesare Lievi appariva  convenzionale e lasciava molta gestualità all’iniziativa dei singoli . L’ambientazione non era quella originale risultando piuttosto modernizzata, ma in tutti i casi non disturbava l’occhio, permettendo di concentrarsi così sull’aspetto prettamente musicale. La direzione di Mehta appariva improntata alla tradizione senza tagli riaperti,ma soprattutto senza le originali danze ormai irrinunciabili. risultava cosi’una visione più interessante sul piano dei cantabili spianati e drammatici che su quella degli slanci e degli allegri. In pratica avremmo auspicato stacchi più energici ad esempio nelle cabalette. Inoltre Mehta dava spesso quella sgradevole sensazione di lasciare un po’troppa discrezione ai solisti nella scelta dei tempi.Ottima la prova sia del coro che dell’orchestra del Maggio. Protagonista era Matteo Desole un giovane tenore non esattamente lirico spinto o drammatico come la tradizione ci ha abituato, ma comunque interessante sia per timbro come pure per fraseggio.  A tale proposito ricordiamo che la parte di Manrico era stata scritta da Verdi per lo stesso tenore che interpretava Duca di Mantova e Alfredo della Traviata.  L’opera viene talvolta chiamata la Zingara a testimoniare la presenza da vera protagonista del ruolo di Azucena. In questo caso Olesja Petrova si dimostrava infatti non solo cantante ma anche attrice di primo livello. Voce decisamente scura e con il carattere deciso e sicuro richiesto dal ruolo, il mezzosoprano in carriera internazionale ha avuto meritate ovazioni sia durante la recita come pure negli applausi finali.Leonora era Carolina Lopez Moreno che si dimostrava una Leonora di tutto rispetto, capace di sfumare anche gli acuti che solo talvolta sono sembrati un po’fissi e stimbrati. Anche la presenza scenica era adeguata.Leone Kim nell’ impegnativa parte del Conte di Luna non è sempre stato sicurissimo nell’emissione, ma ha comunque dato del personaggio un’incarnazione credibile.Ferrando era Giorgi Manosvili dalla vocalità corretta e sicura. Prolungate ovazioni finali in un trionfo generale.

Mefistofele alla Fenice

venerdì 14 giugno 2024

Mefistofele non è certo attualmente fra le opere da noi più rappresentate anche se rientra nella grande tradizione dell’opera italiana. Difficile sostenere che trattasi  di musica sopraffina anche se non pochi sono i sostenitori del verismo. Mefistofele ha goduto in passato di una certa popolarità.Vero manifesto di una vocalità  decisamente verista non può neppure lontanamente essere paragonato al Faust di Gounod. Dobbiamo pero’riconoscere che quando si avvantaggia di un allestimento come quello andato in scena a Venezia il successo non tarda a manifestarsi. Non e’infatti un mistero che le cadute di gusto in un argomento come quello del sogno di un vecchio medico di consegnare la propria anima al diavolo in cambio del poter godere di tutti i privilegi consentiti a un giovane affascinante e seducente hanno dato troppe volte risultati di dubbio gusto. Per fortuna nella versione di Moshe e Leiser non poche sono state  le buone idee registiche anche se mancava un vero e proprio filo conduttore a legare  le diverse scene. Anche le trovate registiche quali la doccia iniziale del protagonista non risultava superflua piu’ di tanto per merito anche delle qualità attoriali del soggetto. La direzione di Nicola Luisotti appariva ben calzante alla fragorose sonorità delle partitura di Arrigo Boito che cercava di bilanciare orchestra e voci in una scrittura orchestrale piuttosto penalizzante nei confronti dei solisti.  Piero Pretti nella parte di Faust appariva più’ a suo agio nella seconda parte che nella prima pur se non in possesso di un timbro piacevolissimo si destreggiava anche nel settore acuto. Maria Agresta come Margherita spadroneggiava invece con eleganza in una parte assolutamente centrale e impegnativa.Grande successo alla recita da noi recensita.

Les contes d’Hoffmann inaugura La Fenice.

martedì 5 dicembre 2023

Les Contes d’Hoffmann sono da sempre un’opera affascinante, suggestiva e abbastanza popolare. Nonostante la lingua francese, non proprio accessibile a tutti, il capolavoro non è mai passato di moda ed ha sempre soddisfatto le platee di mezzo mondo. Assai difficile da catalogare Hoffmann va interpretata anche scenicamente e conseguentemente un regista come Damiano Michieletto è stato” invitato decisamente a nozze” nelle sue bizzarre ma a volte geniali visioni. Qui ad esempio partendo dal primo atto, quello che rappresenta la bambola meccanica Olympia, vuole richiamare la situazione infantile con i banchi di scuola e il diabolico maestro che non vede l’ora di distruggere la prima innamorata del piccolo aspirante scrittore. Nell’atto seguente, quello di Antonia, più che di una cantante vittima della sua malattia, vi è un’aspirante ballerina ormai con le stampelle che cerca invano di rcuperare se stessa contro le insidie del diavolo. Completamente diversa giustamente l’atmosfera sensuale e dionisiaca dell’ultimo atto, dove la protagonista Giulietta chiude con grande lussuria quello che è forse il più significativo dei tre atti , con il famoso terzetto :”Helas mon coeur s’égare encore” a significare come il protagonista Hoffmann perda qui una volta per tutte le proprie speranze amorose. Ciò che ha decisamente colpito in questa regia è stato l’uso delle danze o meglio del carattere giocoso dell’uso dei corpi, non solo dei ballerini ma anche dei coristi che Michieletto è riuscito a coinvolgere nell’azione. Naturalmente alcuni avranno potuto trovare in questa regia aspetti di una certa esagerazione in quanto talvolta si preferisce godere della musica senza troppi movimenti in scena. Non dimentichiamo che Offenbach era però un autore di operette e il re dei grands boulevards non quello del Palais Garnier e dei grands opéra…. Frédéric Chaslin dirigeva l’orchestra dando però spesso troppo “fiato alle trombe ” per così dire e troppo poco alle sfumature e a i colori di cui Offenbach non certo difetta. Un pò più di delicatezza sarebbe stata a volte più apprezzabile. Vero protagonista vocale è stato Alex Esposito che non è certo una sorpresa per noi,il basso ha dato dei quattro ruoli demoniaci ideati da Offenbach per quest’opera una personale e insieme ideale rappresentazione. Il tenore ivan Ayon Rivas ha impersonato un buon Hoffmann con notevole facilità nella tessitura vocale a dispetto di una presenza scenica non proprio fascinosa. Una discreta Rocio Perez era Olimpia . Carmela Remigio una buona Antonia mentre la più seducente era indubbiamente la Giulietta di Veronique Gens. L’impegnativa parte di Nicklausse era ben impersonata da Giuseppina Bridelli. Le belle scene di Paolo Fantin e i costumi di Carla Teti coronavano il tutto. Grande successo alla replica del 30 novembre.

Manon Lescaut inaugura il Verdi di Trieste

giovedì 30 novembre 2023

Manon Lescaut di Puccini non è fra le opere più popolari del cigno di Torre del Lago ormai da molto tempo. Secondo noi è forse invece il capolavoro del maestro toscano. Egli non cede qui agli eccessi veristi di Tosca anche se scuote a dovere gli spettatori con un argomento scabroso. Inoltre non sempre a ragione spiazza la meravigliosa Manon di Massenet e con accenti e colori più forti ma sempre autenticamente romantici nel senso italiano del termine. Il teatro triestino non è tradizionalmente aperto a regie particolarmente moderne ed innovative, qui però il regista Guy Montavon interviene spesso e volentieri sulla drammaturgia abbastanza pesantemente senza preoccuparsi troppo di essere fedele alle intenzioni dell’autore. Va da sè che un vero librettista nel dramma musicato da Puccini in realtà non c’è perchè sappiamo essere un lavoro in collaborazione fra diversi librettisti. Non ci sembra comunque questa una buona ragione per modificare azione e personaggi ripetutamente.  In verità l’unica vera scena che ci sembra essere riuscita nella sua originalità è quella finale dove Manon e des Grieux appaiono separati perchè già divisi da una grande vetrata che li allontana ancor prima della morte di Manon. Questo non potersi toccare e stringere e abbracciarsi é apparso significativo. Ingiustificabile comunque il non presentarsi al proscenio al termine dello spettacolo da parte di tutti gli autori della parte scenica….per quale motivo ? da quando in qua? Ricordiamo che noi abbiamo assistito alla recita di sabato che a causa dello sciopero è stata la vera e propria prima rappresentazione dello spettacolo anche se non si è trattato di serata di “gala”…..Ottime note invece per gli interpreti fra cui svettava la rigorosa e pulita vocalità di Roberto Aronica sempre lontano da accentacci veristi e cadute di stile. Lana Kos era una Manon dalla vocalità sicura e senza cedimenti credibile anche scenicamente. Mancava quel gusto della parola, del recitar cantando difficile da trovare in una protagonista non di madre lingua. Fernando Cisneros come Lescaut non ha mancato di dare soddisfaziione sia vocale ches cenica in un ruolo non certo scondario.la direzione della maestra Gianna Fratta ha convinto per tenuta degli insiemi, pulizia, eleganza anche se come dicevamo per quanto riguarda la Kos mancava quella cura del significato della parola e dell’accento che certe grandi cantanti del passato ci hanno lasciato.Grandi applausi finali per tutto il cast orchestra e coro compresi.

 

 

 

 

 

I due Foscari alla Fenice

mercoledì 25 ottobre 2023

Fra le opere del giovane Verdi forse i due Foscari sono la meno popolare. In effetti se paragonati a Ernani o ai Lombardi o ancora meglio al Nabucco il raffronto risulta abbastanza a sfavore della partitura tratta dal dramma di Lord Byron. Ciò non toglie che le scure tinte del dramma veneziano andato in scena a Roma nel 1844 non siano ricche di fascino e soprattutto non permettano ai protagonisti una certa introspezione psicologica e scritture vocali interessanti. Il teatro veneziano ha presentato l’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino a firma di Grischa Asagaroff che non appariva particolarmente interessante ma non disturbava nemmeno l’occhio. Indubbiamente una Venezia molto tradizionale nelle scene e nei costumi di Luigi Perego. Non vi sono molte idee registiche e una certa atmosfera plumbea non aiutava a tener viva l’attenzione dello spettatore. Nota positiva invece per le brevi danze di Cristiano Colangelo.  Una certa noia si riscontrava poi della direzione di Sebastiano Rolli che accentuava certe ritmiche tipiche della tradizione verdiana più vetusta invece che alleggerire anche per evidenziare i pregi dei solisti piuttosto che i difetti. Vero protagonista diventava così il coro del teatro che diretto dal maestro Alfonso Caiani dava una vera lezione di colori e accenti verdiani. Il cast trovava nell’intensa presenza di Luca Salsi un Francesco Foscari di tutto rilievo all’altezza del ruolo per intensità vocale e padronanza della tessitura nella sua completa estensione. non lo stesso si può dire di Francesco Meli nel ruolo di Jacopo che nella recita del 14 ottobre appariva visibilmente affaticato in particolare nella prima parte dell’opera. Ci auguriamo che possa riprendere il suo smalto abituale senza problemi. Anastasia Bartoli da parte sua pur in possesso di una vocalità più che interessante presentava le stesse problematiche vocali espresse nell’Elvira dell’Ernani. Suoni sforzati nel settore acuto e spesso sgradevoli. Ottima invece nel settore centrale e nelle intenzioni espressive. Buone nel loro insieme le cosiddette seconde parti . Qualche “beccata” di pubblico all’indirizzo tenorile durante la recita ma grande successo finale.

Cavalleria alla Fenice

mercoledì 25 ottobre 2023

Dopo la lunga pausa estiva il Gran Teatro alla Fenice ha deciso di riaprire con uno fra i titoli più popolari del repertorio ,Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, solitamente abbinata ai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.Il capolavoro mascagnano anche se di breve durata ha però in sè, una tale quantità di drammaticità da non far sentire troppo la mancanza di altro . Sarebbe stato comunque interessante aggiungere una volta tanto un titolo di balletto contemporaneo anche solo per avvicinare certa parte del pubblico non troppo avvezzo alla nobile arte coreutica. La nuova produzione a firma di Italo Nunziata pur spostando l’azione in tempi più moderni di quelli dell’ambientazione tratta dalla celebre novella di Giovanni Verga appariva calzante alle roventi atmosfere sicule che ora come oggi non lasciano scampo.la scena parzialmente diroccata lasciava spazio a un’accurata recitazione lontana dalla concitata declamazione di certo verismo.  Siculo il regista ma siculo anche il direttore Donato Renzetti di comprovata esperienza al quale al di là di una innegabile professionalità avremmo richiesto un maggiore trasporto soprattutto nella ricca tavolozza coloristica di cui questa partitura è così ricca. Il cast vedeva nella brillante vocalità del tenore francese Jean Francois Borras la sua eccellenza ma anche la Santuzza di Silvia Beltrami ben assolveva il suo ruolo. Efficace Dalibor Jenis come Alfio come pure Lola di Martina Belli e e Lucia di Anna Malavasi.Ottima prova del coro della Fenice.

Netrebko ed Eyvazov al festival di Lubiana

giovedì 13 luglio 2023

Vi sono appuntamenti imperdibili: fra questi vi è quello con Anna Netrebko e Yusif Eyvazov al Festival di Lubiana. Passata dopo l’era del Covid nei concerti in piazza nostante la pioggia battente a quella del Cankarjev dom, la coppia d’oro della lirica mondiale si è confermata ancora una volta all’altezza della situazione, presentando la sera dell’11 luglio un concerto memorabile con l’Orchestra Filarmonica della Radiotelevisione Slovena diretta da Michelangelo Mazza.  Affiancati dal mezzosoprano Elena Zhidkova e dal baritono Zeljko Lucic hanno infatti eseguito un impegnativo programma completamente verdiano, anche nel bis il celeberrimo brindisi di Traviata. Come già detto precedentemente questo tipo di programma risulta assente dai programmi nazionali dei teatri italiani, non si capisce bene per quale snobistico motivo. Un sano programma operistico verdiano e non può fare solo che bene agli atrofizzati spettatori medi dei teatri lirici italiani, ormai abituati solo a regie strampalate piuttosto che ad affinare le orecchie con i grandi cantanti. Ciò che ci piace sottolineare in questo difficile programma è stato come Netrebko ha potuto iniziare con la cavatina di Lady Macbeth per poi passare con la massima facilità alla leggerezza della Gilda del concertato “Bella figlia dell’amore” riservato ai soprani leggeri di agilità.  Senza voler fare paragoni poco calzanti, in passato solo una celebre cantante greca poteva osare certi salti di repertorio. Nella vocalità della Netrebko tutto è invidiabile, ma soprattutto l’emissione spettacolare e l’appoggio sul fiato . Estensione, morbidezza, mancanza di vezzi, rispetto della partitura fanno di lei non una diva ma una vera primadonna intesa nel senso della vera artista. Dopo molti anni dal debutto la cantante russa può infatti passare da “Pace, pace mio Dio” al duetto di Leonora con il Conte di luna dal Trovatore,risplendendo sia nel settore centrale come in quello acuto. Eyazov tenore che ha dovuto affrontare ripetutamente critiche sul suo colore di voce non propriamente splendido,  è apparso invece in forma smagliante . Destreggiandosi fra i più spericolati ruoli verdiani, quali Duca di Mantova o Alvaro nella Forza,,, ha dimostrato la giusta protervia nel Trovatore come pure la delicatezza nel finale di Aida. Al fianco della coppia il baritono Lucic dimostrava possanza vocale e grinta da vero baritono vilain forzando talvolta il fraseggio e ottenendo così effetti non sempre ortodossi. Il mezzosoprano Elena Zhidkova appariva il punto debole della serata in difficoltà nell’aria di Azucena. Ottima prova della direzione di Michelangelo Mazza che sapeva assecondare i cantanti senza darne l’impressione e anche eseguire con senso della danza e del ritmo le belle danze dall’Otello raramente eseguite. Brindisi finale con trionfo in una sala gremitissima.

Turandot chiude la stagione del Verdi di Trieste

martedì 16 maggio 2023

Il capolavoro incompiuto del cigno di Torre del lago gode a Trieste di una certa fortuna sia dal punto di vista vocale come pure da quello direttoriale, avendo visto in passato  il teatro triestino direttori come Daniel Oren e cantanti come Olivia Stapp, Maria Chiara , Giovanna Casolla . La produzione presentata al Verdi a firma di Davide Garattini originariamente concepita con Katia Ricciarelli nel 2019 è apparsa forse leggermente rinnovata rispetto alla prima versione. In particolare i costumi di Danilo Coppola che dividevano chiaramente i personaggi buoni in bianco dai cattivi in nero, semplificavano la comprensione dell’azione non sempre chiarissima. Anche le scene molto imponenti di Paolo Vitale non apparivano scontate ma funzionali all’azione . Le proiezioni sul fondale erano abbastanza discrete. Nell’insieme una realizzazione scenica decorosa con nessuna trovata particolare ma che non meritava le contestazioni finali. La direzione orchestrale di Jordi Bernacer privilegiava la tenuta drammatica piuttosto che la tavolozza coloristica della partitura della partitura incompiuta che è stata eseguita senza la tradizionale aggiunta del finale di Alfano.  Scelta rispettosa anche se poco popolare.  Il cast era nel suo insieme all’altezza. In particolare il Calaf di Amadi Lagha era sicuro, deciso e altisonante comme il faut anche se non privo di nuances. Kristina Kolar una buona Turandot mai affaticata ma sempre squillante. Ilona Revolskaja pur non in possesso di un bel timbro ha dato di Liù un’efficace rappresentazione in particolare nell’ultima aria. Anche le tre maschere erano adeguate. Nota non positiva sul Timur di Marco Spotti. Buona sia la prova dell’orchestra come pure del coro del Verdi. Gran successo alla fine se non fosse stato per qualche contestazione alla regia come detto sopra.

Orfeo a Venezia e a Trieste.

martedì 9 maggio 2023

Sono passati molti anni da quando adolescente cominciavo a frequentare i teatri lirici e i vecchi maestri non cessavano di ripetere che per ridurre i costi ed ampliare l’offerta i teatri avrebbero dovuto agire in coordinamento. Ci troviamo invece a recensire oggi due Orfeo ed Euridice di Cristoph Willibald Gluck  entrambi versione viennese 1762, entrambi in italiano, entrambi senza danze. Non volendo alimentare polemiche non possiamo non considerare come neppure il periodo Covid sia riuscito ad insegnare qualcosa . La produzione veneziana a firma di Pier Luigi Pizzi, da un lato non presentava sorprese ma si confermava nella tradizione di un ottimo metteur en scene più che su quello di un innovativo regista. Grande eleganza nei morbidi e sontuosi costumi ma soprattutto una sana concezione del teatro che va con la musica e non contro la musica. Apparente semplicità ma nello stesso tempo buon gusto  adattissimi a uno stile musicale , quello di Gluck volutamente antitetico alle macchine barocche e ai virtuosismi belcantistici. Perfetta era così la consonanza con l’Orchestra della Fenice diretta da Ottavio Dantone notevole esperto settecentista che ha evidenziato nella partitura la giusta drammaticità associata al senso musicale più autentico. Protagonista era Cecilia Molinari che in possesso di un bel timbro forse più mezzosopranile che contraltile delineava comunque un Orfeo sentito ed adeguato. Euridice era una May Bevan credibile scenicamente. Anche Silvia Frigato come Amore ben assolveva al suo compito . Il coro della Fenice si dimostrava discreto .Diverso il discorso per l’allestimento triestino a firma di Igor Pison che,  pur partendo da una buona idea, quella di attualizzare un dramma senza tempo quale quello di Ranieri de Calzabigi, non manteneva le promesse, non sembrando di credere fermamente nel dramma ma ridicolizzando piuttosto l’azione con una specie di parata carnevalesca, che mal si abbinava alla sobrietà della musica. Daniela Barcellona protagonista, non più in possesso di gran proiezione vocale, ma a suo agio prevalentemente nel settore acuto, riusciva a dare comunque di Orfeo una rappresentazione pregevole. La direzione di Enrico Pagano non era priva di slancio ed autentica resa. Ruth Iniesta era una buona Euridice, come pure Amore di Olga Dyadyv. Ottima la prova del coro e dell’orchestra del Verdi. Le prove dei ballerini non deludevano e facevano rimpiangere a Trieste come a Venezia l’assenza delle danze, in un opera dove la musica stessa le ispira. Grande il successo sia a Venezia come pure a Trieste.