Archivio di novembre 2008

Der Vampyr di Heinrich August Marschner

mercoledì 26 novembre 2008

der-vampyr-foto-di-rocco-casaluci_08.jpgDer Vampyr di Marschner ha aperto la stagione 2009 del Comunale di Bologna. Un titolo coraggioso questo, sconosciuto alla maggior parte degli appassionati d’opera e dobbiamo lodare la direzione artistica di Marco Tutino. Per l’inaugurazione della stagione del Comunale di Bologna non si poteva infatti fare scelta più felice invece dei soliti titoli di repertorio che inflazionano ormai un po dappertutto . L’opera non era mai stata rappresentata in Italia e non si capisce come mai visto che non è affatto priva di spunti interessanti, tanto più che nell’Ottocento godette di grande successo a partire dalla sua prima rappresentazione a Dresda nel 1828. Neanche a farlo apposta è poi in uscita proprio in questi giorni un film americano di grande successo in cui il giovane e affascinante vampiro diventa irresistibile soprattutto per le ragazzine. Diciamo subito che la principale attrattiva dell’allestimento bolognese è stata quella musicale con un Roberto Abbado sul podio particolarmente preciso e attento a dipanare le matasse di una partitura in cui le influenze del grande Karl Maria Von Weber appaiono forti, ma in cui si individuano pure presagi wagneriani. Qualche slancio romantico in più sarebbe stato auspicabile fin dall’ouverture ma ci viene il dubbio che sarebbe poi mancato un equilibrio unitario. Dovendo il direttore concertare insieme cantanti e orchestra non sempre le voci sono apparse in grado di reggere sonorità e tempi sostenuti. Ma l’occasione perduta veniva purtroppo dalla regia di Pier Luigi Pizzi che quasi mai ha riservato sorprese positive. In questo caso si voleva modernizzare l’ambientazione originale del testo di Wohlbruck trasportandola in un improbabile epoca moderna dove ad esempio all’inizio del secondo atto si ballava nondimeno che il twist. Nel primo atto invece la prima scena ospitava una “copia” del famoso dipinto di Courbet, “Alle origini del mondo”, facendo così diventare il sesso femminile quella che sarebbe dovuta essere la caverna del vampiro. Fino ad ora una certa eleganza di stile era da riconoscere all’ormai anziano regista, mentre in questa produzione, fatta eccezione per qualche costume la sobrietà e la bellezza, risultavano spesso latitanti. Anche l’aspetto comico che Pizzi cercava in qualche modo di sottolineare, appariva spesso insufficiente lontano dallo spirito originario dell’epoca. Per una volta sarebbe bastato attenersi alla semplice drammaturgia originale: un vampiro che per ottenere un anno di libertà dalla schiavitù e recarsi fra gli uomini, è costretto a sacrificare tre vergini. Nel cast brillava John Osborn, autentico tenore lirico nella parte di Edgar Aubry , mentre il Ruthven di Detlef Roth era privo di smalto e spessore vocale. Disinvolta e sicura la Janthe di Manuela Bisceglie come pure la Malwina di Carmela Remigio. Discreta anche Donata D’Annunzio Lombardi come Emmy. Sgradevole invece il giovane Paolo Cauteruccio come Gorge Dibdin.Ottima la prova del coro diretto da Paolo Vero.

Trionfo di pubblico entusiasta con numerose chiamate al proscenio.  

Capuleti e Montecchi aprono il Carlo Felice

lunedì 3 novembre 2008

dsc_0225-sonia-ganassi-mariella-devia.JPGgenova2.jpg“Non è il solito teatrino” diceva un segaligno e aristocratico signore seduto al mio fianco all’inaugurazione del Carlo Felice di Genova. Aveva ragione e totalmente. In momenti di crisi come questa, dove le strumentalizzazioni politiche regnano sovrane un po’ovunque, il Carlo Felice ha saputo impegnarsi in una valida operazione culturale presentando uno fra i più sublimi capolavori del melodramma italiano. I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini. Dimenticato a lungo e spazzato praticamente via in epoca verista ma ancora prima dal più celebre Roméo et Juliette di Charles Gounod ( cui tocca oggi un po’ la stessa sorte). Riscoperto già negli anni settanta da Claudio Abbado e in epoca più recente da Riccardo Muti ha visto negli ultimi vent’anni molte interpreti di riferimento da noi apprezzate sulle scene, quali Katia Ricciarelli, Lella Cuberli, Giusy Devinu , Luciana Serra, Edita Gruberova, June Anderson senza voler dimenticare nessuna.

Fra queste eccelse cantanti quasi coetanee non tutte regnano ancora sulle scene internazionali.  L’allestimento genovese punta sul connubio Mariella Devia Sonia Ganassi, che,differenziandosi da altre celebri primedonne del passato, sono in ottimi rapporti e si cimentano regolarmente in concerti di duetti come quello tenuto anni fa al Filarmonico di Verona. Tornando all’allestimento genovese che sfrutta quello proveniente dall’Opéra Bastille di Parigi, niente si può immaginare di più semplice elegante ma insieme sovrastante, imponente e prevaricante. Enormi pareti semoventi in rosso scuro creano spazi di volta in volta claustrofobici o apertamente desolanti a significare la grande solitudine alternata ai momenti di un amore disperato, quello che congiunge i due infelici amanti di Verona. Grande pregio di quest’apparentemente semplice allestimento si situa nel saper evidenziare i singoli personaggi su cui Bellini volutamente vuole concentrare l’azione. Qualche sedia, un letto, neppure un piccolo catafalco nella tomba di Giulietta a voler comprovare l’adesione al più spinto minimalismo oggi imperante. Quando il canto è vero belcanto come nel caso della Devia e della Ganassi si può fare….ma altrimenti ?

Una lunga fila indiana con i seguaci di Capellio che a fatica staccano le spade infilzate nel proscenio non ci è certo sembrata una bella idea per aprire l’opera ma è anche vero che l drammaturgia dei Capuleti non è ricca di spunti originali. Sonia Ganassi da parte sua si rivelava perfettamente a suo agio in una tessitura quasi sopranile che metteva in evidenza la grande facilità nei passaggi di registro, ma anche la corposità dei centri. Ciò che colpiva era anche la grande fusione stilistica e interpretativa fra le due belcantiste perfettamente a loro agio nel comune intento di far brillare le ragioni della musica e non le rivalità fra primedonne. La direzione di Renzetti appariva finalizzata al buon risaltare del palcoscenico senza creare prevaricazioni di sorta. Il Lorenzo di Nicola Ulivieri si distingueva mentre un po’ opachi apparivano siano il Tebaldo di Dario Schmunck, come pure non brillante il Capellio di Deyan Vatchkov. Trionfi anche alla repliche.