Archivio di agosto 2010

Rodelinda a Martina

giovedì 19 agosto 2010


Rodelinda di Handel è il terzo titolo del Festival della Valle d’Itria 2010ed  era indubbiamente quello più goloso per i palati dei melomani più raffinati che a Martina sono tradizionalmente affezionati. Sembrerà strano a dirsi ma Handel a Martina Franca non è mai stato proprio come suol dirsi di casa nonostante sia il vero e proprio maestro per eccellenza di belcanto per qualsivoglia tipologia di cantante. Fatta eccezione per Giulio Cesare rappresentato molti anni fa per intendersi ai tempi di Rodolfo Celletti, il festival si è maggiormente dedicato alla riscoperta prima di autori italiani poi con Sergio Segalini di quelli francesi. Rodelinda regina dei Longobardi, dramma per musica in tre atti su libretto di Nicola Francesco Haym è stato rappresentato nell’atrio del Palazzo Ducale di Martina il 2 e 4 agosto con grande successo e ripresa radiofonica in attesa di una presumibile diffusione, speriamo in dvd, della splendida produzione di quest’anno. Partendo dall’intricatissima trama basata sulla fedeltà di Rodelinda nei confronti del marito Bertarido l’opera fu rappresentata a Londra nel 1724 fu proposta al festival di Glyndebourne nel 1988. La rappresentazione martinese è la prima in Italia in questo secolo e speriamo non l’ultima. Nonostante i numerosi passaggi virtuosistici, il colore generale e i toni dell’opera sono piuttosto cupi soprattutto se consideriamo la generale tendenza di quell’epoca molto più inclinata allo sfavillio del belcanto e della coloratura più spericolata, piuttosto che alle atmosfere elegiache e ai cantabili spiegati. Anche per questo Rodelinda è un capolavoro, una partitura innovativa che va verso il futuro romanticismo. L’allestimento martinese è firmato da Rosetta Cucchi ottima regista, pianista musicista che ha dimostrato al contrario di numerosi grandi nomi internazionali di saper dipanare con maestria il difficile intreccio. L’ambientazione longobarda si trova a metà strada fra antichità preistorica e futurismo alla Star Trek con pochissimi elementi scenici ma significativi costumi e un uso attento delle luci.Uno spettacolo comunque scuro come si addiceva all’alto medioevo longobardo che alcuni definirebbero a torto o a ragione a seconda dei punti di vista, padano. L’orchestra era guidata da Diego Fasolis che abituato ai suoi Barocchisti appariva talvolta privo di quella tavolozza di colori e di dinamiche che avrebbero reso il tutto teatralmente più variegato e meno compatto. Lettura che non trascurava comunque le ragioni del canto. Vera rivelazione è stato il controtenore o meglio il contraltista, Franco Fagioli che ha brillato con la stoffa e lo stile di un vero fuoriclasse non solo esibendo virtuosismi come messe di voce e abbellimenti di ogni genere ma anche caratterizzando una linea interpretativa assolutamente personale e scolpita in ogni accento. Sonia Ganassi, alla quale abbiamo sempre riconosciuta eccellenza belcantistica, ha brillato più nel canto spianato che nella asprezza delle agilità handeliane pur eseguite con perizia. Mancava forse al personaggio quella cattiveria e quella durezza spigolosa che la grande cantante siamo certi acquisirà con il tempo. Buono pure il Grimoaldo del tenore Paolo Fanale che pur se chiamato a cimentarsi in un ruolo e un repertorio a lui non perfettamente familiare e in una tessitura centrale ha dimostrato professionalità. Anche il controtenore Antonio Giovannini si è difeso con serietà. Marina De Liso era una convincente Edwige. Trionfo per un’esemplare operazione culturale.

Gianni di Parigi in Valle d’Itria

domenica 1 agosto 2010


Altra scelta saggiamente anti intellighenzia è risultata poi quella del Gianni di Parigi di Donizetti, soprannominato da ignoranti e saccenti (purtroppo anche qualche vecchio critico musicale è fra di essi) Dozzinetti.Recuperata tardivamente in seguito alla Donizetti renaissance e rappresentata al festival Donizetti di Bergamo solo nel 1988 ma con interpreti del calibro di Giuseppe Morino e Luciana Serra. Mai più ripresa da allora, gode per fortuna di una bella testimonianza discografica che dovrebbe essere ancora reperibile. Di impianto tipicamente rossiniano cela al suo interno pagine musicali di rara bellezza e inventiva, più di altre composizioni del celebre compositore bergamasco. Prelude per alcuni aspetti al romanticismo dell’Elisir d’amore e del Don Pasquale . La sua trama, su libretto di Felice Romani, non è invece di particolari pretese, ma dà la possibilità ai solisti di cimentarsi e spaziare nelle voluttuosità vocali più ardite come quelle concepite ad esempio per un tenore del livello di Rubini, vera star dell’epoca. E ‘interessante ricordare anche che la rappresentazione scaligera del 1839 avvenne contro la volontà dell’autore che non si era ancora accordato con l’editore Ricordi. L’edizione martinese di quest’anno si basava sul lavoro di Anders Wiklund sulla versione della Scala e non su quella presentata al San Carlo fra il 1828 e il 1832. L’allestimento nuovo del giovane Federico Grazzini allo stesso tempo imponente ma elegante, con una scena unica di impianto chiaramente liberty firmato da Tiziano Santi si avvaleva di costumi piuttosto classicheggianti di Valeria Bettella. Buona anche la cura dell’azione scenica anche del coro Slovacco di Bratislava guidato da Pavol Prochazka. Non poco sollazzo è derivato poi dalle ardite improvvisazioni dei due giovani bassi Roberto De Candia e Andrea Porta che, a causa di un improvviso black out in assenza del maestro direttore Giacomo Sagripanti, si sono trovati a districarsi con amabile leggerezza in una vera scena che potremmo definire “da baule”divertendo non poco il pubblico. La direzione di Sagripanti è apparsa un po’ discontinua non riuscendo sempre ad evidenziare accenti e nuances ma assecondando però con professionalità le ragioni del canto. Edgardo Rocha, in sostituzione di Ivan Magrì, è tenore di grazia come si diceva un tempo; non fa gridare al miracolo per arditezze vocali ed estensione negli acuti. È però corretto ed elegante in una tessitura riservata a pochi. Se i discografici e i direttori artistici (dei teatri con buone disponibilità finanziarie),pensassero a Florez? Ekaterina Lekhina è un soprano leggero dal timbro non bellissimo ma sa cantare con una certa perizia. È molto bella ed elegante in scena ma manca di quell’éclat virtuosistico che richiederebbe la principessa di Navarra. Roberto De Candia si è raffinato nell’emissione mentre il Pedrigo di Andrea Porta è stato più che discreto. L’Orchestra Internazionale d’Italia ben portava a termine la sua esecuzione. Grande successo e gradimento per tutti, nonostante il rinvio della prima esecuzione.       

Napoli milionaria a Martina Franca

domenica 1 agosto 2010


Intrigante la scelta di aprire il 36esimo Festival della Valle d’Itria con  Napoli milionaria opera scritta da Nino Rota per il Festival di Spoleto nel 1997 e mai più ripresa. Indubbiamente diversa dalla celebre commedia , portata sul grande schermo dallo stesso Eduardo De Filippo già nel 1950, sarebbe potuta a prima vista sembrare una scelta azzardata vista la pluriennale tradizione del festival teso a riportare in vita partiture dimenticate settecentesche e ottocentesche piuttosto che contemporanee. La nuova direzione artistica di Alberto Triola succeduto a Sergio Segalini dopo 16 anni è apparsa in definitiva più che motivata non solo per l’originalità e il coraggio dell’accurata scelta ma anche per l’apprezzabile produzione come pure per la qualità del cast nel suo insieme. Nino Rota celebre compositore di musiche da film e di balletti ben lontano da certa intellighentia critica e letteraria pagò l’allontanamento di questa sua importante opera dal mondo della lirica nonostante il favorevole esito del pubblico che a Spoleto stessa applaudì l’opera. In questa partitura non vi sono dissonanze e dodecafoniche astrazioni. Rota fa sue continue citazioni sia di compositori “elevati” come pure di musiche meno colte ma assolutamente popolari sia locali come pure internazionali. Il libretto di De Filippo appare nell’opera molto più orientato sul lato drammatico piuttosto che su quello anche comico e sentimentale che appare nel film del 1950 o nella commedia del 1945. Una semplicità, una spontaneità quella di Rota in cui manca quella vena di melodia immediata e riconoscibile presente ad esempio nel balletto La Strada. Il grande successo ottenuto a Martina nel cortile del Palazzo Ducale il 17 e 19 luglio è indubbiamente dovuta all’ottimo allestimento curato sia sul piano scenico come pure su quello musicale. La regia di Arturo Cirillo era intrisa di drammaticità fin nei minimi dettagli come pure la recitazione dei singoli e non si sottraeva in particolare nel primo atto a quelle serie di caratterizzazioni che fanno della commedia napoletana uno dei topoi della commedia all’italiana nel mondo. Alfonso Antoniozzi, come il protagonista Gennaro, dava l’effettiva dimensione di una drammaticità più interiorizzata che esasperata. Mentre Tiziana Fabbricini pur se ben lontana dall’originale vocalità per cui la parte fu concepita e cioè per una giovane Giovanna Casolla o sembra addirittura la stellare Birgit Nilsson.) nell’ambito delle sue limitate possibilità vocali ha però ritratto con perizia un‘Amalia significativa e intensa sia vocalmente che scenicamente. Leonardo Caimi era un Errico Settebelllezze di non poco fascino e stile mentre anche le parti di contorno erano degnamente rappresentate. La direzione del giovane Giuseppe Grazioli era accurata vivace e precisa . Unico appunto la mancanza dei sopratitoli per un dialetto napoletano difficilmente comprensibile a chi napoletano non è.