Archivio di febbraio 2011

Grande rentrée di Manon alla Scala

venerdì 18 febbraio 2011

L’Histoire de Manon non è un balletto classico dell’ottocento ma la sua popolarità lo sta trasformando in un balletto di tradizione. Fin dal lontano 1974 in cui fu realizzato dal grande Kenneth Mac Millan per il Royal Ballet ed interpreti della statura di Anthony Dowell e Jennifer Penney, l’Histoire de Manon si impose subito come un vero e proprio capolavoro. Sfidò così il confronto con classici come l’opera di Massenet, che con il suo famoso “Sogno” divenne un cavallo di battaglia per tenori come Beniamino Gigli o Tito Schipa. Particolarità del raffinato balletto è il fatto che dei ben tre atti nessun pezzo è tratto dall’opera, anche se la musica è interamente del grande compositore francese. Ciò che convince profondamente in questo balletto è il linguaggio coreografico di Mac Millan che, oltre ad essere di base fondamentalmente classica, appare comunque moderno, caratterizzato com è da grande fluidità ed eleganza. Indubbiamente è balletto incentrato su due grandi étoiles, a loro  è richiesta non solo ottima tecnica ma anche profondità interpretativa, vista l’evoluzione dei personaggi e le sfaccettature psicologiche. Alla Scala il balletto ha avuto fin dal 1994 ottima fortuna, visto anche il livello degli interpreti fra cui ricordiamo l’intensa Alessandra Ferri e il grande Julio Bocca. Le riprese del 2011 sono a nostro parere (e non solo), destinate a diventare storiche per merito dell’attesissimo ritorno sulle scene del Piermarini di Sylvie Guillem, étoile che ha a suo modo proposto o meglio imposto, una nuova linea di danzatrice molto più moderna. A 46 anni rimane étoile insuperata, essenziale diva e nello stesso tempo antidiva, intelligente, spesso sorridente ma anche secca e tagliente quando serve. Un vero personaggio dei nostri giorni con la consapevolezza della propria superiorità tecnica ma anche artistica. Molti fra cui anche qualche critico, non le perdonano infatti questa sua eccellenza assoluta, che l’ha portata talvolta ad eccedere tecnicamente e a non impegnarsi troppo sul fronte interpretativo. Ebbene nella Manon scaligera Guillem, ha stupito tutti per immedesimazione psicologica per evoluzione del personaggio. Dalla fragile tenera Manon della prima apparizione all’amante appassionata per passare agli accenti più drammatici e disperati dell’ultimo passo a due. Al suo fianco Massimo Murru non ha certo sfigurato, anzi ha saputo ancora una volta dimostrare uno spessore interpretativo di tutto rispetto, un’evoluzione del personaggio e un carattere più che originale. In lui non bellezza apollinea e stilizzata ma un personaggio tormentato e scavato. Ottimo anche il Lescaut di Thiago Soares. Abbiamo anche potuto apprezzare la seconda coppia di star che faceva capo a Roberto Bolle e Olesia Novikova. Quest’ultima proveniente dal Mariijsnki di San Pietroburgo è danzatrice dalla bella linea e dalla tecnica più che notevole, ma manca di luminosità nel volto anche se non si può dire che difetti in spessore interpretativo. Roberto Bolle ha invece dalla sua un fisico straordinario. Si sforza di approfondire il personaggio ma sia il lato tragico che quello dannato di Des Grieux possono apparire lievemente stereotipati in alcune maschere piuttosto che vissuti interiormente. Discreto il Lescaut di Mick Zeni. Note dolenti sul versante musicale nel quale la direzione di David Coleman non solo è apparsa mediocre e di routine ma anche incolore. Scarsa anche la prova dell’orchestra ben al di sotto delle proprie possibilità con cali d’intonazione ed eccessi nei fortissimi. Grande il successo del pubblico in entrambe le serate.     

Giulio Cesare a Parigi al Palais Garnier

venerdì 11 febbraio 2011

Già da qualche anno non varcavamo più la soglia del Palais Garnier e in verità dobbiamo dire che l’emozione non è stata poca, anche se sono decisamente molti i teatri che ci hanno visti come attenti spettatori . In effetti questo tempio immortale dell’opera se a prima vista conserva tutta la maestosa imponenza, nei dettagli avrebbe bisogno di una rinfrescata per non dire di un accurato restauro. L’occasione era ghiottissima: Giulio Cesare capolavoro handeliano in versione pressoché integrale con la nuova produzione firmata da Laurent Pelly la direzione di Emmanuelle Haim e un cast dominato da Natalie Dessay, Lawrence Zazzo e Isabel Leonard, Christophe Dumaux. Neanche a dirlo tutto esaurito per le dieci repliche. Quale teatro italiano potrebbe vantarsi di simili risultati? Ma Handel non compose opere italiane e solo qualche oratorio in inglese? Il paese del belcanto sembra essersi dimenticato di uno fra i più grandi geni della storia musicale. Ma i sovrintendenti dicono che Handel non è teatrale. Qualche togato critico di nostra conoscenza si permette pure di affermare che si tratta di sequenze di arie poco teatrali. Ma in questo caso il regista Pelly agisce decisamente trasportando l’azione ai giorni nostri e all’interno di un museo non meglio precisato ma probabilmente quello archeologico di El Cairo. Non un’idea nuovissima anche perché talmente tante sono state ormai le produzioni che è veramente difficile dire qualcosa di nuovo. In tutti i casi la sigla personale di Pelly è questo grande senso del ritmo musicale, la recitazione dei cantanti e il senso comico infuso un pò a tutta l’opera, escluso qualche momento elegiaco o patetico. Comprendiamo il punto di vista dei non pochi tradizionalisti, ma in cuor nostro non ci sentiamo di condannare una regia così dettagliata e precisa e soprattutto con il  perfetto senso ritmico. Emmanuelle Haim dirigeva l’Orchestre du Concert d’Astrèe, un ‘orchestra piuttosto nutrita e dal suono assai corposo per una partitura del 1724. La tenuta nell’insieme non mancava mai ma talvolta il bilanciamento orchestra voci era a netto sfavore di quest’ultime, che risultavano piuttosto penalizzate. Avremmo desiderato anche una maggiore tavolozza di colori e di dinamiche sfumate che in alcuni momenti sembravano mancare. Il cast appariva di notevole livello e stilisticamente appropriato oltre che assai impegnato nella recitazione. In primis Lawrence Zazzo recentemente da noi apprezzato nel Radamisto handeliano andato in scena in ottobre all’English National Opera cioè al London Coliseum. Ha presentato un Cesare profondamente sfaccettato interpretativamente: sensibile ma anche amante appassionato a suo agio in ogni parte della tessitura sia nelle agilità come nel canto spianato. A tutt’oggi un vero fuoriclasse nel gusto nello stile e nella misura. Natalie Dessay impareggiabile sul piano interpretativo nel canto elegiaco, si trova invece a fare i conti con una vocalità assai meno estesa di quella di un tempo nel settore acuto, dove riesce ad arrivare senza quello splendore e quella luminosità che speriamo possa recuperare. Doti attoriali e comiche la rendono comunque una Cleopatra di pregio. Vardhui Abrahamyan è stata una Cornelia dal timbro bronzeo, sicura nel medium della voce. Isabel Leonard un Sesto invece assai poco mezzosoprranile ma ugualmente piena di fascino e stile vocale. Il controtenore Christophe Dumaux è stato un Tolomeo di rilievo protagonistico dall’impeto esemplare. Un po’parossistico e sopra le righe il Nireno di Dominique Visse. Un vero mistero è stato invece Nathan Berg nella parte di Achilla. Un basso assolutamente estraneo ad ogni belcantismo handeliano. Grande successo per tutti nella recita da noi visionata che presumiamo sarà diffusa in DVD.  

Puritani apre il 2011 a Genève

martedì 1 febbraio 2011

Per chi come noi ama la musica profondamente, i Puritani di Vincenzo Bellini ci fanno sentire fieri di essere italiani. In essi siano contenuti il celeberrimo “ Suoni la tromba intrepido”, che a nostro parere dovrebbe essere il vero inno nazionale. Ci sono anche alcuni dei principali temi quali la passione amorosa,quella religiosa,ma soprattutto un amore romantico che finisce tragicamente. Certo la dimensione drammatica è difficilmente esplicabile scenicamente ed è per questo che il regista messicano Francisco Negrin ha cercato di fare il suo meglio con esiti non sempre ben riusciti. Centralissimo il personaggio di Elvira che il regista ci presenta fin dall’inizio intenta a scrivere le sue memorie. Ella poi durante tutto il corso dell’opera, tiene sempre con sé un diario, presumibilmente a conferma di tutti i suoi sentimenti e le sue sofferenze per l’amato Arturo. Fin dall’inizio viene presentata come quasi una folle e lo diventerà fino a morirne. Certo l’effetto spasmodico e la tensione sono sempre presenti ma forse sarebbe bastato quell’attento lavoro sulla recitazione dei singoli che era assai evidente anche nelle masse corali. L’ambientazione originaria è stata più o meno rispettata se non fosse per le grandi scene recanti i versi scritti a mano che riempivano in particolare il terzo atto. Certi interventi sul libretto offenderanno alcuni puristi ma il solo grande duetto finale prima di “Vieni fra queste braccia” e il terzetto nel primo atto con Enrichetta e Riccardo costituiscono un vero cammeo. In particolare ci è piaciuto molto il finale in cui Elvira impazzisce e il canto di gioia del duetto diventa così un canto di follia nella sua mente. Arturo è morto sotto i colpi del nemico ma per lei è vivo e lo sarà sempre. Brutte le imprecazioni le esclamazioni ripetute durante il corso dell’opera che fanno parte di tradizione veristiche e non belcantistiche.Vero perno della produzione è stato piuttosto il maestro Jesus Lopez Cobos che pur non godendo di quella fama che meriterebbe. Fra i più eminenti in campo internazionale ha fra pochissimi il grande dono di sostenere il palcoscenico in ogni momento. Conferisce non solo sicurezza ma anche una magica aura di lirismo alle grandi melodie belliniane. Fa uso non solo di rubati e dinamiche sfumate con grande eleganza ma anche dimostra compattezza e giusto vigore alle non facili parti d’insieme. L’Orchestre della Suisse Romande e il Coro del Grand Théatre hanno reso con proprietà le intenzioni dell’autore. Il tenore russo Alexey Kudrya affrontava la parte di Arturo con quella baldanza giovanile indispensabile a reggere tutte le aperture dei tagli di tradizione. Possiede un bel timbro in zona centrale ma tende a irrigidire gola ed emissione nella salita agli acuti. L’accento è giustamente aulico mentre manca spesso di quella morbidezza e di quel canto”all’italiana” che ne farebbero un Arturo ideale. Possiede acuti e sovracuti ( fa naturale).Un tenore che terremo comunque in attenta osservazione viste le belle premesse. Diana Damrau acclamata dal pubblico ha invece deluso le nostre attese non possedendo più quella naturalezza e quelle agilità vorticose e precise che aveva in passato. Arriva agli acuti e ai sovracuti con difficoltà se li deve raggiungere al di fuori delle agilità. Sul piano interpretativo è invece assai impegnata dando un’Elvira appassionata ma registicamente nevrotizzata. Franco Vassallo come Riccardo era abbastanza autorevole anche se mancava di disinvoltura nelle agilità della cavatina. Ci saremmo aspettati da Lorenzo Regazzo maggiore convincimento nella parte di Giorgio. Discreta poi l’Enrichetta di Isabelle Henriquez.. Trionfo finale alla prima rappresentazione al Grand Théatre de Genève.