Rigoletto al Palais Garnier di Montecarlo

Sempre un ‘emozione entrare nel Palais Garnier di Montecarlo che tutt’oggi mantiene da solo fra i grandi teatri, per quanto ci risulti, un unico ingresso in un unico palazzo sia per il teatro come pure per il Casino. E il teatro bomboniera del glorioso palazzo si apre per noi con il capolavoro verdiano che il vecchio maestro riconobbe fino all’ultimo come la più amata delle sue creature. Il maestro Giuliano Carella propone così un Rigoletto ammirevole compendio di tradizione ed edizione critica in cui viene sì proposto il recupero delle cabalette ma anche la scelta dei tempi e delle cadenze  adeguate alle singole esigenze dei cantanti. Il doppio cast vanta in particolare la presenza di due fra i tenori più di spicco della nuova generazione. Stefano Secco dotato di bel timbro lirico puro, al di là di qualche forzatura nel passaggio di registro presenta un Duca giustamente spavaldo e arrogante. Celso Albelo nel secondo cast ci fa invece dono di una vocalità adamantina e sfavillante fino al re sovracuto della celebre cabaletta :”Possente amor mi chiama”. Dinamiche sfumate e nobiltà d’accenti che fanno ricordare la lezione dell’indimenticabile Alfredo Kraus senza ricorrere in alcun modo a una imitazione. Diverso il discorso per i due protagonisti nel ruolo del titolo. Lado Atanaeli pur in possesso di bel timbro e facilità nella vocalizzazione si espone ripetutamente a problemi di intonazione che ne inficiano la prova. George Petean vocalmente molto più sicuro presenta un personaggio perfettibile di limature. Nathalie Manfrino scenicamente splendida convince anche vocalmente pur non partendo da quell’emissione belcantistica che ci si aspetterebbe per il personaggio di Gilda. Ekaterina Lekhina al contrario presenta un’organizzazione vocale puramente belcantistica, anche se un timbro non bellissimo in quanto un po’vetroso e non limpidissimo. Bella la prova dello Sparafucile di Deyan Vatchkov. Un po’ troppo esasperata la Maddalena di Marie Ange Todorovitch. Discreto pure il Monterone di Luciano Montanaro. Ultima ma non ultima la regia di Jean Louis Grinda che si è voluta mantenenere in un minimalismo scenico che avremmo voluto fosse anche esteso a una recitazione lasciata piuttosto all’iniziativa dei singoli cantanti, che spesso ricadevano in gesti di tradizione ridondanti e affatto calzanti. I costumi di Rudy Sabounghi sembravano provenire da un pot-pourri, in particolare nell’ultima scena dove la taverna di Sparafucile ricordava una palafitta maldiviana in perfetto stile turistico. Grande successo in entrambe le recite alle quali abbiamo assistito.