Puritani ossia il trionfo del tenore

I Puritani di Vincenzo Bellini non sono solo il capolavoro del “cigno” catanese per eccellenza, ma anche una fra le opere più enigmatiche e difficili da realizzare in assoluto. Da un lato ultimo esempio di una classicità, quella rossiniana, ormai estinta, ma che trova motivo d’essere nell’aristocratica impostazione di tutti i personaggi. Questi diventano quasi ieratici assai lontani da quelli che saranno prima donizettiani e poi verdiani. Dall’altro lato affiora un nuovo modo di sentire, quello dell’eroe italicamente romantico,fiero, altero libero da ogni costrizione, ma lontano anni luce da personaggi come ad esempio Werther. Puritani sono una vera e propria icona perfetta e fragile allo stesso tempo, per cui difficilmente possiamo vedere in essi una valida realizzazione

teatrale. L’allestimento di Pier ‘Alli non era certo fra i suoi migliori, caratterizzato da una pesante staticità sia nell’impianto scenico come pure nei movimenti dei singoli lasciati sembra, all’iniziativa personale e quindi liberi di cadere in una gestualità d’antan. Nient’altro che grossi spadoni sospesi in aria…Peccato un ‘occasione perduta di presentare qualche nuovo nome registico al posto del già visto. In realtà si puntava tutto sul protagonista Juan Diego Florez al suo debutto italiano nell’impervio ruolo di Arturo. Si dà il caso che nella precedente edizione bolognese ,Arturo fosse il grande tenore americano Gregory Kunde che al di là di un peso vocale non certo ragguardevole, possedeva non solo l’aristocratica fierezza del protagonista ma anche quell’estatico abbandono che manca al celebre tenore peruviano. Detto ciò Florez ha dimostrato comunque sicurezza e morbidezza in un canto disinvolto e sempre preciso. Vera rivelazione è stato piuttosto nel cosiddetto secondo cast, il tenore Celso Albelo che in possesso di mezzi vocali ammirevoli e rari si distingueva per generosità e afflato profondo, tanto da farci desiderare di ascoltare ancora questo artista che sembra essere molto più di una promessa. Non lo stesso possiamo dire del soprano georgiano Nino Machaidze che ben lontana da poter essere paragonata a Edita Gruberova, la protagonista della precedente edizione bolognese, non solo non si è distinta in una vocalità sufficiente per il ruolo di Elvira ma anche a volte in difficoltà nell’intonazione. Decisamente migliore la Elvira di Yolanda Auyanet più variegata nel fraseggio anche perché più a suo agio nella tessitura. Gabriele Viviani è stato poi un valido Riccardo come pure incisivo il Giorgio di Ildebrando d’Arcangelo.

Michele Mariotti, ha offerto una prova ammirabile in primis per la scelta della riapertura di alcuni tagli quali il meraviglioso “Se il destino a me t’invola” dove Arturo ha modo di dispiegare una fra le più belle melodie belliniane. Anche il finale “Ah sento o mio bell’angelo” in cui il canto di gioia di Elvira si lega a quello di Arturo. Peccato per qualche altro taglio ma talvolta le esigenze dei cantanti vanno rispettate. Mariotti in questo si è dimostrato decisamente all’altezza, senza però esagerare nelle libertà ritmiche talora così fastidiose. Ottima la prova sia del coro come pure dell’Orchestra del Comunale.