Margherita in Valle d’Itria
Il melodramma semiserio in due atti Margherita d’Anjou di Giacomo Meyerbeer sembrerà strano a dirlo, ma non era mai stato rappresentata in tempi moderni. Il mercato discografico gli ha dedicato un ‘edizione completa firmata dall’inglese Opera Rara risalente a qualche anno fa. L’opera concepita e realizzata per il Teatro alla Scala ebbe molto successo a partire dal 1820 e sarebbe stato proprio il caso che il massimo teatro milanese non si perdesse l’occasione di riprendere un tale importante titolo, piuttosto che eseguire troppo spesso opere di repertorio popolare. Il personaggio della celebre sovrana , al centro della non meno celebre Guerra delle due rose, non è forse la principale figura vocale del melodramma semiserio del grande autore francese precursore del grand-opéra, visto che sia il ruolo del Duca di Lavarienne come pure quello di Michele Gamautte, sono da ascriversi come protagonistici. Margherita è indubbiamente risultata la proposta chiave di quest’anno al 43 esimo Festival della Valle d’Itria, che personalmente abbiamo l’onore e il piacere di seguire fin dal lontano 1991, a dispetto dello scorrere del tempo. L’allestimento a firma di Alessandro Talevi non ha mancato di generare contrasti vista la scelta spavalda di ambientare l’azione prima in una moderna casa di mode e poi all’interno di una non meno moderna Spa ,invece che nel 1400. La trasposizione operata dal Talevi non ha però alterato i rapporti fra i personaggi, che si sono mantenuti sempre coerenti senza modificare la drammaturgia del libretto di Felice Romani per la verità piuttosto complicato e poco leggibile in una prima visione. Anche le scene e i costumi di Madeleine Boyd ben significavano le intenzioni registiche non meno delle coreografie di Riccardo Olivier. La raffigurazione scenica e la caratterizzazione ad esempio del personaggio di Gamautte sono apparse perfettamente calzanti come pure quella del Duca di Lavarienne. Sul piano musicale il sicuro approccio di Fabio Luisi alla testa dell’Orchestra Internazionale d’Italia non poteva dare altro che grande sicurezza e tenuta sotto ogni punto di vista, anche se forse qualche dinamica e qualche colore in più non sarebbe stato sgradito. Vera rivelazione la spavalderia tenorile di Anton Rositskiy che ha del tenore rossiniano più spericolato, tutte le caratteristiche nell’impervia tessitura vocale e un discreto colore brunito nella zona centrale . Una vocalità di sicura presa da non trascurare in futuro. Isaura di gaia Petrone è stata forse l’altra sorpresa di questa produzione: bel timbro scuro e incisività nel fraseggio. Marco Filippo Romano come Gamautte ha costituito un notevole punto di interesse, per la naturale e prorompente vena comica. La parte di Margherita affidata a Giulia De Blasis mancava forse di quel fascino che ci si aspetta da una cosiddetta bella voce con il timbro morbido e pastoso. Buona la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza . Buon successo di pubblico affluito in massa alla recita del 2 agosto.