Madama Butterfly al Verdi di Trieste
Madama Butterfly al Verdi di Trieste con la regia di Alberto Triola è stata una piacevole sorpresa . Uno spettacolo semplice sull’onda di quel minimalismo imperante che trova nel mondo giapponese contemporaneo il suo perfetto terreno di elezione. Tutto è in armonia monocromatica nelle tenui sfumature sia dei costumi come delle scene in un mondo intimistico contemporaneo sì idealizzato e stilizzato e molto vicino al nostro contemporaneo modo di sentire. I due mondi così lontani, quello della ingenua e piccola Cio Cio San e quello di Pinkerton appaiono così sempre più incompatibili fino alla tragedia finale che risulta inevitabile. I tocchi personali della regia di Triola erano evidenti soprattutto nel secondo atto, dove una cascata di petali rossi di acero creava un presagio di sangue e di ansia drammatica che culminava nel suicidio della protagonista. Le scene essenziali ma efficaci di Emanuele Genuizzi con Stefano Zullo e i costumi di Sara Marcucci ben coronavano il tutto. La direzione musicale di Niksa Bareza voleva scrostare la partitura da zuccherosi vezzi tipici di una certa tradizione verista che ben poco dovrebbero avere a che fare con partiture come questa. Quello che mancava era però il senso della parola recitata o meglio del recitar cantando, in particolare nel fraseggio della protagonista Liana Aleksanyan. Nello Sharpless di Piero Pretti vi era invece tutta la giusta protervia insita nel personaggio. Ottima la prova di Laura Verrecchia una Suzuki di tutto rispetto come Sharpless di Stefano Meo. Anche le parti di cosiddetto contorno erano all’altezza di una Butterfly coronata dal giusto successo finale di pubblico, numerosissimo alla prima rappresentazione.