L’ambizione delusa a Martina Franca

Il successo pieno del Festival della Valle d’Itria di quest’anno, trentanovesimo per la precisione, conferma non solo la validità della gestione del giovane direttore artistico Alberto Triola ma anche la quasi totale infondatezza del solito assioma : tanto denaro uguale grande festival e poco denaro misero festival. Non si capisce affatto il motivo per cui la prestigiosa manifestazione di Martina Franca non venga ancora equiparato ai maggiori festival come Pesaro, Ravenna, Spoleto o Torre del Lago. Martina Franca che frequentiamo dal lontano 1988, contrassegnato dagli anni d’oro del Maestro Rodolfo Celletti non ha nulla d a invidiare a Festival ben più famosi come quelli sopraccitati. Pur all’insegna della tradizione il festival martinese sta dando infatti prova di sapersi rinnovare e anche migliorare. Esemplare è stata infatti anche quest’anno la capacità organizzativa nel saper allestire e rappresentare, anche se in spazi diversi tre opere diverse in tre giorni in due spazi separati. Dobbiamo mettere l’accento anche sui concerti della mezzanotte, che pur sfidando la stanchezza di alcuni, hanno premiato la costanza di altri ascoltatori regalando chicche inaspettate come il concerto dei quattro controtenori o il Salve Regina scarlattiano nella preziosa chiesetta di San Francesco da Paola. Entrando nel merito L’ambizione delusa di Leonardo Leo è apparso in tutta la sua pienezza e compiutezza artistica. Capolavoro del 1742 dimenticato alla Biblioteca Nazionale di Parigi non era mai stato eseguito prima d’ora. L’esecuzione che abbiamo potuto assaporare nel chiostro di San Domenico si può infatti inscrivere negli eventi musicali di questi ultimi anni. Non ci stancheremo mai di ripetere che la riscoperta di partiture dimenticate come questa vale da sola tante esecuzioni mediocri di opere di repertorio straeseguite un po’dovunque e fatte solo per riempire il botteghino. La commedia pastorale in tre atti su libretto di Domenico Canicà era rappresentata nella pregnante regia di Caterina Panti Liberovici. Trasformava così il chiostro di San Domenico in uno spazio teatrale vissuto dal suo interno come vero e proprio luogo dell’azione non teatrale ma come una sorta di vero moderno reality ante literam. I giovani cantanti attori si sentivano perfettamente calati nelle rispettive parti. La direzione di Antonio Greco leggera precisa elegante avrebbe potuto privilegiare maggiori variazioni nelle esecuzioni dei da capo secondo la prassi dell’epoca. Una varietà agogica toglie spesso quella certa monotonia che a volte può sorgere in più di tre ore di musica seppur elevata. Ma ciò è anche questione di gusto e ognuno ha il suo. Federica Carnevale e Candida Guida, rispettivamente soprano e contralto sono due voci che meritano di essere tenute d’occhio per preparazione e qualità artistiche. Si sono distinte poi anche nella mirabile esecuzione del Salve Regina di Scarlatti. Giampiero Cicino e Riccardo Gagliardi erano rispettivamente Ciaccone e Lupino. L’Orchestra ICO della Magna Grecia di Taranto si presentava con grande eleganza e risposta alle richieste del direttore Antonio Greco. Ricordiamo che tale rappresentazione si è tenuta anche nel magico spazio dei sassi di Matera con grande successo.