Fidelio inaugura la Fenice
Fra le opere serie a lieto fine Fidelio, l’unica del grande genio tedesco Beethoven , è stata scelta quest’ anno per inaugurare il Gran Teatro La Fenice. Indubbiamente il più grande o piccolo teatro a seconda dei punti di vista. Il pubblico e la serata non hanno deluso le aspettative. Atmosfera delle grandi occasioni e aria ancora più frizzante dovuta anche alla recuperata e totale capienza della sala, una fra le più accoglienti mai concepite nel paese culla del belcanto. Fidelio, ca va sans dire, è capolavoro della grande tradizione tedesca dei singspiel, ben lontana dal mondo melodico del belcanto italiano e molto più vicina alla tragédie lirique di impianto gluckiano. Cionostante non mancano i momenti più trascinanti nella grande ouverture iniziale che rimane da sola una pagina indimenticabile nella pregnante interpretazione del grande direttore Myung- Whun Chung, ormai di casa non solo a Firenze e a Milano. Convincente era la linea nel suo insieme preromantica che riusciva a far risultare le linee vocali in perfetta armonia con il tessuto orchestrale e non in contrasto o in antitesi come troppo spesso ci è capitato di ascoltare. Certo il merito andava anche al cast vocale, nel suo insieme ben preparato. se non fosse stato per la parte finale della grande scena di Florestan nel secondo atto. Il tenore Ian Koziara appariva infatti in gran difficoltà nella parte finale dell’aria, senza che però il pubblico se ne accorgesse minimamente (eccetto qualcuno….).Un tenore comunque di mezzi vocali ragguardevoli.Tamara Wilson è stata una intensa Leonore a suo agio in una tessitura piuttosto estesa e impegnativa vista la centralità del personaggio, forse vera protagonista. Ekaterina Bakanova si presentava come un’ ottima Marzelline affatto querula e sdolcinata ma sicura e decisa. Buone anche le altri componenti del cast nel loro insieme. Chi voleva trovare nell’interpretazione registica di Joan Anton Rechi una chiave personale innovativa o una certa urgenza interpretativa rimaneva invece un pò deluso, vista la mancanza di una vera originalità nella creazione scenica e nella gestualità peraltro piuttosto generica. Da parte nostra invece abbiamo apprezzato il fatto di poterci concentrare maggiormente sull’aspetto musicale, ampiamente sciorinato dalla direzione di Chung, che permetteva ai cantanti di esprimersi con la musica e non contro di essa, come ci è capitato di ascoltare altre volte in Fidelio con altri direttori. Notevole anche la prova del coro diretto da Claudio Marino Moretti. Gran successo alla fine, in un titolo complesso per la sua natura di singspiel che difficilmente può essere popolare.