Aureliano inaugura la Valle d’Itria
La presenza di Rossini a Martina Franca e in particolare di un titolo come Aureliano in Palmira sarebbe potuto sembrare un po’una sfida al pesarese ROF al quale manca proprio il suddetto titolo al completamento della Rossini renaissance. Fonti ben informate dicono invece che la futura edizione critica pesarese sarà apprestata anche alla luce di quella preparata qui a Martina Franca. Personalmente crediamo piuttosto che dopo la felicissima interpretazione di Bertarido nella handeliana Rodelinda da parte del controtenore argentino Franco Fagioli si sia giustamente pensato a lui per il grande ruolo di Arsace che Rossini concepì alla Scala per il Velluti grande castrato e grande divo dell’epoca. Al contrario della prima scaligera del 1813 la serata martinese ha avuto un grande successo e in particolare un vero e proprio trionfo per Fagioli che anche in una tessitura piuttosto grave sapeva risplendere e diventare protagonista assoluto di una serata memorabile in cui sembrava di rivivere fasti belcantistici ormai perduti da diversi anni. Il libretto di cui l’autore a lungo dibattuto sembra essere definitivamente il celeberrimo Felice Romani è assai complicato e non tedieremo il lettore nella narrazione. Se musicalmente il capolavoro del 1813 è ritenuto a tutt’oggi fra i più trascurati in quanto a parte un’edizione del 1980 a Genova ne risulta solo un ‘altra al festival rossiniano di Wildbad. Non poche sono le parti che ritroveremo in opere posteriori del genio pesarese ma come si sa l’autoimprestito era cosa assai in uso all’epoca . Ciò che conta è il pathos generale dell‘opera, aulico, aristocratico ma anche tenero ed elegiaco. Il finale lieto secondo i dettami del tempo non ostacola certo il carattere intimistico che presagisce certo romanticismo rossiniano .
L’allestimento martinese di quest’estate che inaugurava il festival firmato dal giovane Timoty Nelson non è fra quelli che fan gridare al miracolo scenico ma ha dalla sua il pregio di non disturbare più di tanto l’occhio dello spettatore. Ambientato in epoca moderna con al posto di antichi romani moderni scozzesi in kilt cui vengono affiancati moderni palestinesi secondo la moda vigente dell’attualizzazione a tutti i costi. Manca piuttosto lo studio introspettivo dei personaggi che sembra lasciato all’iniziativa dei singoli e improntato a una generale staticità. I lunghi recitativi non hanno spesso riscontro in una qualche azione scenica né dei singoli né delle masse.
Diverso il discorso sul lato musicale che vedeva sul podio il giovane Giacomo Sagripanti che con mano leggera ed elegante teneva saldamente le fila dell’Orchestra Internazionale d’Italia evidenziando più gli aspetti settecenteschi che quelli prolusivi al romanticismo ottocentesco. Qualche taglio nei recitativi sarebbe stato auspicabile. Si è detto della mirabile interpretazione dell’argentino( non italiano a dispetto del nome ingannatore) Franco Fagioli che non ha bisogno di premi ( anche se gli è stato conferito quello Abbiati) per sfavillare nell’ormai non più sparuto numero dei controtenori in attività. Presenza scenica, introspezione psicologica, comunicativa naturale e insieme sofisticata ne fanno ormai una vera e propria icona di un nuovo modo di cantare assolutamente lontano da certi macchiettistici bamboleggiamenti di dubbia matrice. Al suo fianco la preparata Maria Alejda come Zenobia pur nella sua vocalità sicura e decisa risultava piuttosto sbiadita in una tessitura al limite delle sue possibilità. Il tenore protagonista Bogdan Mihai, dalle buone intenzioni e appropriato stilisticamente, dava il suo meglio ma come si dice “mostrava la corda” in più momenti. Non trascurabile affatto la Publia di Asude Karayavuz.. Grande successo di pubblico alla prima affollatissima e trionfo per Fagioli.