Alcina incanta la Scala

In occasione delle celebrazioni per i  250 anni dalla morte di Handel, uno fra i più grandi geni della storia della musica e non solo, il Teatro alla Scala ha avuto l’occasione di dare una svolta storica al proprio corso, affidando alle mani di Robert Carsen lo splendido allestimento pensato per l’Opèra di Parigi circa dieci anni or sono. Alcina del 1735 è uno fra i non pochi capolavori di Handel passati nel dimenticatoio non solo in Italia ma anche all’estero a causa come si sa non solo del gusto mutato degli ascoltatori ottocenteschi ma anche degli improbi sforzi cui sottopone i cantanti.

In pratica la scrittura vocale handeliana è tale che difficilmente è possibile cantarla senza essere fini vocalisti o addirittura musicisti. L’intricata vicenda che ruota attorno alla maga Alcina gran seduttrice, capace di trasformare uomini in animali è stata completamente riplasmata dal regista americano. Egli ha apparentemente semplificato il tutto in un grande spazio bianco, l’interno di un palazzo in stile neoclassico all’esterno del quale si intravede il fatato giardino di Alcina. Costumi moderni di Tobias Hoheisel ma anche alcuni nudi per significare la completa sudditanza degli amanti stregati dalla protagonista. Alcina vinta e suicida nel finale permetterà  alle sue vittime di rivestirsi tutti di nero come lei stessa, sola sul suo letto di morte. Detta così semplificata all’estremo può sembrare poca cosa ma, dato per scontato che è questa una produzione non per tutti, siano essi critici togati e paludati o spettatori alle prime esperienze, lo spettacolo di Carsen rimane un unicum che difficilmente si potrà scordare dagli occhi di chi l’ha visto. Recitazione accuratissima degli innumerevoli mimi, ma anche dei protagonisti, fra cui ricordiamo Ruggiero immobile rivolto con la schiena al pubblico , per non parlare poi della frizzante danza di Morgana “Tornami a vagheggiar”. Su tutto incide la massima  sensualità della recitazione che solo raramente ma intensamente lascia spazio a spunti comici riuscitissimi. Luci accurate e spazi che si lasciano intravedere interminabili evidenziano costumi apparentemente scontati e banali. Su di essi trionfa il personaggio di Alcina, splendida, slanciata e irraggiungibile. Giovanni Antonini aduso agli strumenti antichi del celebre Giardino Armonico ha saputo mediare le esigenze acustiche della sala del Piermarini non tipicamente handeliana , anzi, con il più accurato profondo e definito animo handeliano, non cedendo mai alla monotonia ma tendendo sempre le più intrinseche e profonde idee musicali. Peccato solo per le danze tagliate….che al di là della durata restituivano autenticità alla rappresentazione. Anja Harteros è un Alcina indimenticabile scenicamente e vocalmente , scolpisce altera la maga che non perdona. Monica Bacelli pur con mezzi limitati, definisce un Ruggiero sentito e personale. Morgana è Patricia Petibon spiritosa e voluttuosa, mentre la sicura vocalità di Kristina Hammarstrom dà di Bradamante un ritratto deciso. Oronte era un sensibile Jeremy Ovenden mentre l’anziano Alastair Miles si disimpegnava discretamente come Melisso. Produzione da vedere e rivedere.Unico cast come sempre si dovrebbe fare. E’così che la Scala è sempre La Scala.