Alceste alla Fenice
Le regie di Pier Luigi Pizzi si distinguono nettamente fra quelle attualmente in circolazione . Da un lato il minimalismo imperante di certo teatro di regia alla tedesca , dall’altro ad esempio la sovrabbondanza un po’ alla Davide Livermore dell’italiana in Algeri pesarese. La classicità un po’ statica di certo Pizzi d’annata rivive dunque in questa Alceste veneziana. Una luce non nuova dunque ma non priva di charme. Tale risultato giunge da un ‘esigenza di pulizia, di rigore, di classicità, di semplicità neoclassica, che il tradizionale regista propone ormai da tanti decenni. Non cercheremo infatti lampi di genio, trovate sceniche eclatanti o particolari impronte nella recitazione dei singoli. Tutto ciò non è mai stato fra i punti forti di Pizzi in attività dal 1951. Ma la rappresentazione lineare con una certa resa della realtà drammatica e’indubbiamente confacente alla poetica musicale gluckiana. In particolare con Alceste e non solo con Orfeo Gluck vuol allontanarsi dal belcanto all’italiana, inteso come astrazione puramente edonistica. Gluck si avvicina così a una vera e propria “adesione al vero” che sfocerà poi nella vera tragédie- lirique autenticamente francese. L‘edizione veneziana si basava sulla versione di Vienna del 1767(senza danze purtroppo). Come freccia al suo arco la brillante direzione di Guillaume Tourniaire che ben equilibrava voci e orchestra dando quasi sempre calibrati accenti ai numerosi recitativi. Ben si disimpegnava anche il coro della Fenice chiamato a una prova affatto trascurabile. Carmela Remigio era un’ottima Alceste per tenuta interpretativa e vocale e adesione stilistica. Marlin Miller Admeto si dimostrava piuttosto carente in certi passaggi acuti . Significativo invece l’Evandro di Giorgio Misseri. Ottimo successo per uno spettacolo degno dei migliori anni di questo grande teatro che si conferma non solo nel nostro cuore fra i migliori in campo internazionale.