Turandot chiude la stagione del Verdi di Trieste

Il capolavoro incompiuto del cigno di Torre del lago gode a Trieste di una certa fortuna sia dal punto di vista vocale come pure da quello direttoriale, avendo visto in passato  il teatro triestino direttori come Daniel Oren e cantanti come Olivia Stapp, Maria Chiara , Giovanna Casolla . La produzione presentata al Verdi a firma di Davide Garattini originariamente concepita con Katia Ricciarelli nel 2019 è apparsa forse leggermente rinnovata rispetto alla prima versione. In particolare i costumi di Danilo Coppola che dividevano chiaramente i personaggi buoni in bianco dai cattivi in nero, semplificavano la comprensione dell’azione non sempre chiarissima. Anche le scene molto imponenti di Paolo Vitale non apparivano scontate ma funzionali all’azione . Le proiezioni sul fondale erano abbastanza discrete. Nell’insieme una realizzazione scenica decorosa con nessuna trovata particolare ma che non meritava le contestazioni finali. La direzione orchestrale di Jordi Bernacer privilegiava la tenuta drammatica piuttosto che la tavolozza coloristica della partitura della partitura incompiuta che è stata eseguita senza la tradizionale aggiunta del finale di Alfano.  Scelta rispettosa anche se poco popolare.  Il cast era nel suo insieme all’altezza. In particolare il Calaf di Amadi Lagha era sicuro, deciso e altisonante comme il faut anche se non privo di nuances. Kristina Kolar una buona Turandot mai affaticata ma sempre squillante. Ilona Revolskaja pur non in possesso di un bel timbro ha dato di Liù un’efficace rappresentazione in particolare nell’ultima aria. Anche le tre maschere erano adeguate. Nota non positiva sul Timur di Marco Spotti. Buona sia la prova dell’orchestra come pure del coro del Verdi. Gran successo alla fine se non fosse stato per qualche contestazione alla regia come detto sopra.