Tannhauser alla Fenice

Realizzare Tannhauser è una vera e propria sfida per qualunque teatro. In primis per la scelta della versione da eseguire sempre spinosa in quanto Wagner stesso non scelse mai una vera e propria fra le due principalmente in uso. Alla Fenice si è scelto di fare un mix delle due cioè a dire quella di Parigi per il primo atto e quella di Dresda per il secondo e il terzo. Si è poi voluto rischiare da un certo punto di vista affidando la regia all’enfant terrible della regia internazionale Calixto Bieito che a dispetto di una certa innegabile genialità raccoglie spesso non pochi dissensi non solo di pubblico ma anche di parte della critica poco propensa a calarsi in una qualsivoglia introspezione analitica della drammaturgia dell’opera. Da parte nostra e del tutto modestamente possiamo dire che chi si aspettava una regia dirompente e particolarmente trasgressiva è rimasto deluso. Piuttosto sottile invece ma sempre ben calibrata nei momenti chiave dell’opera con una gestualità tutt’altro che casuale ma sempre calzante . Tannhauser in questa visione registica è sempre a disagio sia con Venere nel primo atto come pure con Elisabeth . altro punto di personale originalità registica è la non eccessiva differenziazione fra Venere ed Elisabeth di solito particolarmente marcata. Wolfram il personaggio solitamente e totalmente positivo nelle intenzioni wagneriane ha qui invece impulsi violenti nei confronti di Elisabeth. Ciò che convince infine è la catarsi finale in cui Tannhauser perisce nel conflitto fra amor profano e amor puro: l’eterno dissidio non può infatti esistere essendo nella natura umana entrambe le componenti. L’orchestra del Teatro La Fenice veniva diretta con perizia dal giovane Wellber che alleggeriva la ricca orchestrazione wagneriana evidenziando piuttosto le linee melodiche ancora di stampo melodico italiano. Il cast vedeva in Paul McNamara un Tannhauser in crescendo se un po’ in difficoltà nel primo atto più a suo agio nel terzo. Poco convincente la vocalità di Ausrine Stundyte mentre assai appagante quella di Liene Kinca pastosa e ricca nella sua bella tessitura. Vero asso nella manica era invece il Wolfram di Chistoph Pohl sia scenicamente che vocalmente. Il coro della Fenice offriva una prova assai alterna durante il corso dell’opera .