Ottone in villa
Non abbiamo mai celato la nostra predilezione per la Fenice. Abbiamo seguito il Gran Teatro in tanti anni di peripezie già prima e dopo del catastrofico rogo e il suo trasferimento al Tronchetto, fino alla ricostruzione tale e quale era stata concepito nel diciottesimo secolo. Dopo il tragico allagamento di questo autunno 2019 e questo infelicissimo lock down, che ha segnato in modo indelebile la nostra esistenza, La Fenice rinasce ancora una volta dalle sue ceneri, riproponendoci ancora un diverso modo di fruire di uno degli spazi pubblici più sfavillanti e sontuosi che siano mai stati concepiti. Il teatro bomboniera appariva svuotato del suo palcoscenico o meglio rivissuto dal suo interno con gli spettatori rivolti verso la platea e l’arco dei palchi sfarzoso ed elegante come non mai. L’orchestra e i cantanti posizionati in platea al centro di un mondo che diventa parte integrante del nostro contemporaneo. Era così che la bellezza e la purezza della partitura del giovane prete rosso del 1713 risplendeva ricchissima di spunti di inventiva nella pur improbabile trama di Domenico Lalli. Basata sulla Messalina di Francesco Maria Piccioli la a regia di Giovanni Di Cicco non appariva fra quelle più significative ma non ostacolava l’affascinante direzione orchestrale di Diego Fasolis. La sua direzione pur non alla testa dei suoi barocchisti ma bensì degli archi della Fenice si stagliava pregnante e significativa nella sua linea interpretativa. I sei solisti vocali tutti alle prese con le voluttuose agilità e i contrasti barocchi più marcati ed insieme più colorati vedevano in Sonia Prina, raro timbro di contralto nel panorama vocale contemporaneo, un’autentica gemma. Giulia Semenzato era poi un’ agilissima Clonilla, per certi aspetti vera protagonista dell’opera. Anche Lucia Cirillo ben si destreggiava nella parte en travesti di Caio Silio come pure Michela Antenucci come Tullia. Unico timbro maschile il tenore Valentino Buzza come Decio. Piccola osservazione: perchè non inserire almeno un controtenore in un’opera vivaldiana come Ottone ? Grande successo per un titolo che speriamo non ricada nell’oblio.