Orfeo a Venezia e a Trieste.

Sono passati molti anni da quando adolescente cominciavo a frequentare i teatri lirici e i vecchi maestri non cessavano di ripetere che per ridurre i costi ed ampliare l’offerta i teatri avrebbero dovuto agire in coordinamento. Ci troviamo invece a recensire oggi due Orfeo ed Euridice di Cristoph Willibald Gluck  entrambi versione viennese 1762, entrambi in italiano, entrambi senza danze. Non volendo alimentare polemiche non possiamo non considerare come neppure il periodo Covid sia riuscito ad insegnare qualcosa . La produzione veneziana a firma di Pier Luigi Pizzi, da un lato non presentava sorprese ma si confermava nella tradizione di un ottimo metteur en scene più che su quello di un innovativo regista. Grande eleganza nei morbidi e sontuosi costumi ma soprattutto una sana concezione del teatro che va con la musica e non contro la musica. Apparente semplicità ma nello stesso tempo buon gusto  adattissimi a uno stile musicale , quello di Gluck volutamente antitetico alle macchine barocche e ai virtuosismi belcantistici. Perfetta era così la consonanza con l’Orchestra della Fenice diretta da Ottavio Dantone notevole esperto settecentista che ha evidenziato nella partitura la giusta drammaticità associata al senso musicale più autentico. Protagonista era Cecilia Molinari che in possesso di un bel timbro forse più mezzosopranile che contraltile delineava comunque un Orfeo sentito ed adeguato. Euridice era una May Bevan credibile scenicamente. Anche Silvia Frigato come Amore ben assolveva al suo compito . Il coro della Fenice si dimostrava discreto .Diverso il discorso per l’allestimento triestino a firma di Igor Pison che,  pur partendo da una buona idea, quella di attualizzare un dramma senza tempo quale quello di Ranieri de Calzabigi, non manteneva le promesse, non sembrando di credere fermamente nel dramma ma ridicolizzando piuttosto l’azione con una specie di parata carnevalesca, che mal si abbinava alla sobrietà della musica. Daniela Barcellona protagonista, non più in possesso di gran proiezione vocale, ma a suo agio prevalentemente nel settore acuto, riusciva a dare comunque di Orfeo una rappresentazione pregevole. La direzione di Enrico Pagano non era priva di slancio ed autentica resa. Ruth Iniesta era una buona Euridice, come pure Amore di Olga Dyadyv. Ottima la prova del coro e dell’orchestra del Verdi. Le prove dei ballerini non deludevano e facevano rimpiangere a Trieste come a Venezia l’assenza delle danze, in un opera dove la musica stessa le ispira. Grande il successo sia a Venezia come pure a Trieste.