la Fille alla Fenice
La Fille du Régiment è un ‘opera comica dove il tenore è destinato a brillare quasi sempre a dispetto del soprano. L’edizione in scena in questi giorni alla Fenice non fa eccezione, come quella famosa apparsa molti anni fa negli Usa quando un quotidiano intitolò Il Figlio del Reggimento, volendo sottolineare la strepitosa prestazione di Alfredo Kraus che , neanche a dirlo trionfò nell’edizione veneziana andata in scena nei lontani anni 75/76. John Osborn che non ha ancora la popolarità che gli spetterebbe se pubblico e critica fossero più acuti e distinguessero l’eccezionalità dalla routine, ci consegna un Tonio da antologia. Non solo o non tanto per la facilità di esecuzione della temibile “Pour mon ame ” bissata a furor di popolo con tanto di variazioni nel da capo e corone e acciaccature, quanto per studio del personaggio ,proprietà stilistica e della lingua francese. Nella seconda aria Pour me rapprocher de Marie il tenore americano non solo si cimenta in filati funambolici dove esibisce anche un re bemolle a mezza voce ma riesce comunque a far passare il virtuosismo non fine a se stesso ma insito nel personaggio . Il tutto con grande semplicità e naturalezza. Non lo stesso possiamo dire della protagonista Maria Grazia Schiavo che nel ruolo di Marie è apparsa decisamente in difficoltà, in particolare nel registro acuto con suoni spesso più che sgradevoli. Solo a tratti nel registro centrale la voce presentava qualche colore più accettabile, ma come si sa Marie è da sempre appannaggio di soprani di agilità o di coloratura intrinsecamente legati alla spavalderia tipica della vivandiera del reggimento ventunesimo. Purtroppo la cattiva impressione avuta nella Lisetta della Gazzetta pesarese ha avuto qui una conferma. Buono il Sulpice di Armando Noguera e persuasiva la Marquise di Natasha Petrinsky . Marisa Laurito era una Duchesse molto sui generis e avremmo preferito solo recitato. Ottimo il coro della Fenice anche nella recitazione. La direzione di Stefano Ranzani era giustamente attenta alle esigenze delle voci, sospesa fra uno stile rossiniano e francese che Donizetti ricercava in quest’opera . La regia di Barbe e Doucet appariva sottolineare molto più l’aspetto larmoyant di quello comico volendo ambientare l’azione in una moderna casa per anziani dove si immagina che la protagonista guardi indietro al suo passato durante la seconda guerra mondiale. Una visione non particolarmente originale, ma soprattutto priva di quella necessaria comicità nelle parti recitate che risultavano così piuttosto noiose.Trionfo alla seconda recita.