La donna del lago apre il Rof

Anno fortunato il 2016 a Pesaro. In primis per una fastosa inaugurazione con La Donna del Lago del  conclamatissimo Damiano Michieletto che certa critica colloca ormai nell’Olimpo registico internazionale. In questo caso  dobbiamo però  riconoscere che il giovane regista veneziano ha pienamente raggiunto  il suo obiettivo.  Una visione la sua del dramma rossiniano giustamente decadente, che vedeva un flash back del personaggio principale di Elena come una povera vecchietta  volta a ricordare il suo passato tumultuoso e i suoi amori infelici. Una regia complessa quella ambientata al Palafestival per uno dei più autentici capolavori rossiniani restituito ormai da diversi anni in alcune edizioni pesaresi. Asso nella manica di questa importante produzione che sembra lontana anni luce dalle tristezze di certo minimalismo imperante, era la direzione di Michele Mariotti quanto di più adeguato e musicale ci potesse essere . L’impronta protoromantica del melodramma rossiniano appariva infatti in tutto il suo splendore da un lato sfrondato da ogni incrostazione verista dall’altro leggiadro nella libertà conferita ai solisti nel potersi esprimere in colorature e in tessiture vertiginose. Non abbiamo timore nell’affermare che abbiamo assistito a una vera consacrazione, quella del tenore Michael Spyres nella temibilissima parte di Rodrigo da noi ripetutamente già ascoltata con tenori come Chris Merritt o Gregory Kunde al top della loro forma vocale e interpretativa. Ebbene Spyres nulla aveva da invidiare ad essi con quella padronanza e quella spregiudicatezza della tessitura e delle agilità, che permette il raggiungimento della piena espressività  di questo parte. Juan Diego Florez raggiunta la sua piena maturità vocale a vent’anni dal debutto  non smette di stupire per eleganza di emissione e controllo autenticamente belcantiste. La Elena di Salome Jicia pur non essendo  scenicamente attraente convince sul piano dell’appropriatezza stilistica dipanata molto bene in particolare nel virtuosistico finale . Altro era il fascino timbrico e interpretativo espresso però in passato da primedonne come Ricciarelli, Anderson , Cuberli e in parte anche Gasdia. Vera scoperta era poi il Malcolm di Varduh Abrahamyan che in possesso di un bel colore brunito affrontava l’impegnativa e sofferta tessitura con il necessario bagaglio tecnico e scenico. Grande successo fin dalla prova generale.