La Belle Hélène infiamma Losanna

hel-7-117.jpghel-7-117.jpgDove nasce l’attuale rivista teatrale ? Ma nel Théatre des Variétés parigino nel secolo scorso con un opera-buffa come la Belle Hélène in cui il genio Offenbach sapeva mischiare la satira più pungente all’incomparabile fantasia delle sue immortali melodie cesellate e concatenate fra di loro con arte sopraffina . Stava accadendo infatti che all’Opéra comique si facevano delle vere e proprie opere come Mignon di Thomas o Faust di Gounod, dove l’aspetto comico veniva lasciato in secondo piano rispetto a quello più genuinamente lirico. In pratica ci si avvicinava troppo al lato drammatico del genere grand-opéra per il quale gli spazi destinati erano ben altri e ciòè a dire il  Palais Garnier  Ma la vena comica e satirica di Offenbach era decisamente irrefrenabile sia nei confronti della classicità greca come pure rispetto all’impostazione musicale di Rossini o Meyerbeer, suoi massimi contemporanei. Non è facile comunque per noi oggi abituati a ogni sorte di satira più o meno convincente, comprendere con quale dirompente forza satirica si poneva il testo di Meilhac e di Halévy per il pubblico parigino del 1864. Su questa giusta e corretta linea interpretativa si poneva il consolidato allestimento di Jerome Savary che pur non essendo nuovo sulle scene di Losanna appariva ancora spumeggiante. Ci sa basava sul gioco di continue gags che mai scadevano nell’eccessivamente volgare, ma si mantenevano sempre su un costante richiamo all’attualità divertendo il pubblico. Si facevano dimenticare non solo certi tetri aspetti della vita contemporanea ma anche apprezzare la varietà e la genuinità dell’ispirazione musicale.

Christian Zacharias conferiva una direzione musicale assai misurata e contenuta e sempre rigorosa. Talvolta avremmo gradito qualche maggior abbandono ed effetto che non avrebbe guastato all’economia generale dell’opera. La bella Maryline Fallot era da parte sua scenicamente una Elena fra le più charmante si potesse immaginare vocalmente corretta e quasi sempre anche sensuale comme il faut al di là del suo timbro non originalissimo. Al suo fianco Sebastien Droy era un Paris dotato di phisique du role e stilisticamente appropriato:voce non grande ma assai ben proiettata e impostata, con ottima pronuncia e dizione perfetta. A parte la succitata coppia dei veri unici cantanti secondo le prescrizioni dell’autore, anche le altre parti recitate erano degnamente rappresentate. In primis Oreste di lusso era Max Emanuel Cencic che pur non potendo evidenziarsi nel belcantismo vocale che è solito regalarci nel repertorio classico, ci donava comunque un cammeo di rara simpatia. Centrale era poi come è giusto il Calchas di Patrick Rocca un pò il fil rouge della vicenda.Discreti anche tutti gli altri.Ultime ma non ultime le coreografie di Igor Piovano e Katryn Bradney e i ricchi costumi di Michel Dussarrat.Una fine d’anno scoppiettante sul palco e in teatro.