Archivio della Categoria 'Balletto'

Virginia Raffaele a Udine

venerdì 11 novembre 2016

“Difficile far piangere ma più difficile far ridere” recita un vecchio concetto teatrale ma sempre attuale. Virginia Raffaele la giovane comica romana trionfatrice televisiva sanremese non ha certo di questi problemi perché la vis comica ce l’ha nel sangue. Artista poliedrica di provenienza familiare circense ha molte frecce al suo arco : di bella presenza , di buon carisma senza dubbio. Si può permettere dunque di non tenere troppo in considerazione i diktat della comicità imperante di stampo convenzional radical chic ma soprattutto politically correct alla Paolo Rossi o meglio alla Lella Costa per intendersi. Certo un personaggio come Francesca Pascale , l’ultima fra le celebre amanti del Silvio nazionale non poteva mancare, ma l’obiettivo della Raffaele non è certo la satira politica e gliene dobbiamo dare atto. Piuttosto quella di costume basata sui personali tics di celebri personaggi come ad esempio Carla Fracci di cui la Raffaele ha per la prima volta osato toccare l’icona. Bianchi gli abiti per svecchiare anche con il classico chignon delle bambine delle scuole di danza, trucco marcato ma soprattutto braccia sempre allungate a cigno nonostante la schiena rigida, quarta posizione sempre ostentata . Viene riservata la scena finale alla Fracci: comica, dinoccolata alla Totò con rara tecnica attoriale. In più quella punta di cattiveria con frasi come”la danza è sofferenza” infarcite alle giovani allieve da ogni maestra di danza di vecchia generazione. O il ribrezzo davanti a un mazzo di fiori non abbastanza importante a riconoscimento della propria celebrità. Azzeccatissimo è stato il titolo Performance scandito ripetutamente con accento filoamericano come per ridicolizzare se ce ne fosse ancora bisogno, tanti spettacoli di danza triti e ritriti esibiti frequentemente come perle di teatro danza. Certo in alcuni momenti il tono non è sempre allo zenit ma anche il coté patetico- sentimentale non è mancato ad esempio nel personaggio fondamentale della poetessa transessuale Paola Gilberto Do Mar con la sua scomoda e vilipesa identità sessuale. Da non dimenticare anche Ornella Vanoni con il suo grande fascino retrò e la sua spiccata personalità non meno che una Belen Rodriguez costantentemente piegata all’indietro sulle reni ma soprattutto su tacchi vertiginosi. Belen comoda, nel distendersi sulle poltrone già occupate da spettatori naturalmente di sesso maschile. Da non dimenticare soprattutto la bella vocalità sensuale esibita dalla Raffaele nell’imitazione ad esempio della cantante Emma dai capelli color elettrico. Grande trionfo con applausi a scena aperta.

Il Lago al Verdi di Trieste

venerdì 22 maggio 2015

Il Lago dei cigni per il balletto è un po’ come il Trovatore per l’opera lirica:alfa e omega di ogni corpo di ballo, un vero banco di prova.  Al Verdi di Trieste in effetti sono stati ospitati negli anni ogni genere di corpi di ballo: dall’immenso Kirov passando per lo Stanislavskij o ai Ballets Trockadero  o il London Festival fino allo storico ballet del Marchese di Cuevas con Rudolf Nureyev nel 1961. La SNG opera in balet di Lubiana ha presentato una versione del capolavoro Ciaikovskiano con coreografie di Lynne Charles che non è facilmente comprensibile neppure da chi come noi assiste a tante produzioni da più di quarant’anni sulle scene internazionali. Da un lato non ci si è voluti infatti allontanare troppo dalla versione originale, quella di Petipa e Ivanov, dall’altro neppure osare una trasgressione totale, quale quella celebre ma decisamente originale di Matthew Bourne apparsa anche in DVD. Interventi più o meno evidenti sulla drammaturgia costellano questa coreografia fra i quali più marcati appaiono nel celebre passo a due del Cigno nero che viene sostituito da diversi cigni neri destinati e solo in alcune versioni unicamente al quarto atto. Ma anche dal punto di vista tecnico esecutivo il corpo di ballo dimostrava diversi punti critici o meglio alti e bassi. Probabilmente l’origine di tali disagi provenivano anche dalla direzione orchestrale di Ziva Ploj Persuh,direttrice dalle indubbie qualità ma molto più adatta a un concerto sinfonico piuttosto che all’accompagnamento di un balletto. Quasi totale mancanza di considerazione delle problematiche di un corpo di ballo, quali la scelta dei tempi, ma soprattutto assenza dell’elasticità richiesta a chi dovrebbe sostenere e assecondare il palcoscenico dall’inizio alla fine o per lo meno nei momenti critici. Abbiamo avuto insomma la netta impressione che la direttrice volesse emulare certi dittatori della bacchetta operistica piuttosto che mettersi al servizio del palcoscenico. Nota interessante  la particolarissima interpretazione di Laura Hidalgo alias Odette Odile; fisicamente ballerina assolutamente lontana da quello classico di Odette dotata di spalle larghe muscolatura accentuata nel torso presentava un personaggio assai inquietante ed ambigua adatta al Lago dei Trockadero nella loro accademica presentazione. Grande successo alla prima.      

Giselle de Cuba al Regio di Torino

mercoledì 17 dicembre 2014

Il Regio di Torino ha ospitato quasi tutti i massimi corpi di ballo del mondo, ma il Ballet Nacional de Cuba occupa uno spazio particolare . La semplicità che sta ancor oggi nell’isola di Cuba traspare nel semplice ed ingenuo allestimento di Giselle capolavoro di Adam. Confermata così ancora una volta la nostra tesi secondo la quale ciò che conta non è lo sfarzo dei costumi e delle scene che pure fanno parte del teatro, ma la convinzione in quello che si sta facendo e la conoscenza stilistica. Il corpo di ballo di Cuba riesce a trasportarci nel mondo romantico e fatato delle Villi, dove la forza dell’amore di Giselle salverà l’incauto principe Albrecht. La versione dell’indimenticabile Alicia Alonso è in repertorio in molti corpi di ballo del mondo  anche se non è la più completa. Nella sua incisività convince però per l’immediatezza e sa arrivare effettivamente al cuore di molti quando è eseguita così come a Torino. Una versione dove il virtuosismo non è certo messo in primo piano se non fosse per certi equilibri e per il ”ballon” di molti salti in particolare maschili. Non trascurabile anche il fascino latino conferito dal calore interpretativo nel primo atto particolarmente solare. Viengsay Valdés è indubbiamente una Giselle latina, sulla scia della grandissima Alicia. Victor Estevez un bel Albrecht ma ancora un po’ immaturo. Esemplare la Myrta di Estheysis  Menendez algida ed altera “comme il faut”. Grande trionfo di pubblico anche all’ultima replica di domenica 15.   

Anne Frank al Verdi di Trieste

martedì 30 settembre 2014

Balletto di rara intensità Anne Frank “parole dall’ombra “ ,quello andato in scena al Verdi di Trieste con grande successo dal 20 al 24 settembre. Il coreografo Walter Matteini  al di là di un prestigioso curriculum, avendo lavorato con i maggiori coreografi contemporanei,ha saputo infatti dare un impronta personale nel linguaggio coreutico.  Oltre un tema piuttosto sfruttato e inflazionato come quello delle celebri memorie della povera bambina ebrea finita in campo di concentramento e mai più tornata a casa durante la seconda guerra mondiale. Un linguaggio intenso pieno di contrazioni e rilassamento tipico di tanta danza contemporanea ma in cui vediamo l’inconfondibile impronta di Mats  Ek . Una coreografia soprattutto  d’insieme quella di Matteini anche se la valida protagonista Maria Focaraccio, nelle vesti dell’infelice bambina ha ben saputo trasfondere la sua disperazione. Assai valide le parti maschili in particolare l’Otto Frank di Julio Cesar Quintanilla in uno stile coreutico che vede proprio nelle caratteristiche maschili di forza e risolutezza, le maggiori attrattive. Fin dall’ouverture è apparso  determinante l’apporto  offerto dalla sicura scelta musicale che spaziava da Vivaldi fino a Bach con palpitanti cori ebraici. La semplicità di scene e costumi  di Ina Broeckx e la forza delle luci di Bruno Ciulli costituiscono poi un degno coronamento dello spettacolo diretto per la parte musicale dal maestro Alvise Casellati.    

Victor Ullate al Manzoni di Milano

sabato 12 aprile 2014

La suite che Victor Ullate ha presentato al teatro Manzoni è un grande esempio di danza contemporanea eseguita nel migliore dei modi. Una compagnia di grande livello paragonabile alle migliori in campo internazionale. Quella del coreografo spagnolo che l’Italia meriterebbe di avere da molti anni ma che per diverse ragioni non riesce a costruire. Numerosa tecnicamente agguerrita e decisamente versatile. Diverso il giudizio per le creazioni coreografiche che come per tutti i grandi coreografi, sono soggette ad esigenze di originalità e di  espressione del tempo in cui vengono create. Su questo piano la serata Ullate si presentava come un antologia piuttosto datata e legata a un’epoca ormai trascorsa anche se gloriosa. Il programma si apriva infatti con Jaleos un’incalzante e  vertiginosa successione di legazioni rapidissime datata 1996 ma che si rifaceva in realtà alla somma “In the midlle somewhat elevated” di Forsythe del 1987, eseguita peraltro stupendamente dalla compagnia. Alcuni celebri Lieder mahleriani “Eines Fahrenden Gesellen” nella magnifica interpretazione vocale presumibilmente di Dietrich Fischer Dieskau, sono stati ben interpretati in un passo a due di rara intensità emotiva. Sempre su ispirazione béjartiana” Le chant d’un compagnon errant” dove con grande sensibilità si raccontano le traversie di un’amicizia virile. Après Toi  grande assolo maschile di toccante profondità interpretativa sull’inconfondibile secondo movimento della settima sinfonia beethoveniana. Dobbiamo riconoscere che nel concetto di danza Ullate ricalca assai il grande Béjart: la sua frase era infatti: la danza è uomo, contrariamente a quanto pensa la maggior parte della gente comune. Grande attesa vi era poi per Bolero interpretato da tutta la compagnia e collocato in epoca liberty con una coppia al centro impegnata in un passo a due piuttosto sensuale ma dal finale prevedibile e scontato. Notevole affluenza di pubblico e bel successo.      

Galà Il Cigno Nero al Teatro della Luna di Milano

giovedì 3 aprile 2014

“Gran Gala il Cigno Nero” recitava il manifesto un po’ dovunque a Milano. L’aspettativa era così grande nonostante i nomi di Ashley Bouder e Joaquin De Luz principals del New york City Ballet non fossero fra i più noti in Italia. Giuseppe Picone invece è étoile oggi assai più celebre. L’idea era quella di costruire una suite dal Lago dei cigni supportata da un video illustrante interni da palazzi reali per legare i diversi pezzi. Peccato che al di là della breve durata della serata (circa un’ora e un quarto compreso il video),comparivano ben due pezzi assolutamente estranei al contesto generale del Lago. Tre Preludi di Ben Stevenson interpretati dalla giovane acerba Flavia Stocchi e da Giuseppe Picone apparivano di ottimo livello artistico e interpretativo. Il frizzante Joaquin De Luz danzava poi Five Variations on a Theme di stile neoclassico estraneo però al contesto del Lago. Discorso a parte poi per la famosa Morte del cigno di Saint-Saens su coreografie di Fokine che Ashley Bouder ha interpretato per la verità in modo non indimenticabile con alcune rigidità nel movimento delle braccia. Va da sé che i migliori momenti della serata sono sembrati quelli dei due passi a due Cigno Bianco Marianna Suriano e Giuseppe Picone e Cigno Nero con Ashley Bouder e Joaquin De Luz. Da segnalare il volume esagerato della riproduzione sonora che spesso recava  vero e proprio dolore alle orecchie. Bel successo finale di pubblico. Si sarebbe gradito anche un piccolo bis che evidentemente non era previsto.     

Gala des étoiles al Geox di Padova

venerdì 11 ottobre 2013

E’ stato assai confortante per noi assistere domenica pomeriggio al Gran galà di stelle al teatro Geox di Padova. Una realtà quella del Festival padovano di danza giunta ormai alla sua decima edizione. Un’iniziativa concreta e positiva che meriterebbe una conoscenza e un prestigio ben superiore a quella che ha attualmente, anche perché capace di attrarre a teatro e avvicinare al meraviglioso mondo della danza la fascia dei giovanissimi e dei giovani.  Difficilmente essi si avvicinano ormai al cinema e all’opera, che sentono sempre più lontane, abituati ormai a confrontarsi solo con il mondo di internet della realtà virtuale. Un programma classico quello di Padova che accostava i più accademici passi a due come quello dal secondo atto del Lago dei cigni o l’assolo della Morte del cigno di Saint-Saens a coreografie più contemporanee come Arepo di Maurice Béjart . Assai lirica era Ludmila Pagliero nei Preludi, iniziale insieme a Alessio Carbone. Qualche imperfezione nell’impegnativo pas de deux del Cigno bianco da parte di Laura Ecquet mentre assai azzeccato per freschezza e slancio il pas de deux della Silfide con Marion Barbeau e Axel Ibot. La Morte del cigno di Isabelle Ciaravola si è dimostrata assai personale e contemporanea nel gioco di braccia spezzate. Non perfettamente legata alla musica è apparsa la coreografia di Martinez per Scarlatti pas de deux pur nella bella interpretazione di Charline Giezendannere e Marc Moreau . Splendida chiusura della prima parte con Alessio Carbone nel persuasivo e celebre Arepo del grande Béjart. Non ci ha molto soddisfatto invece Adagietto nella strascicata coreografia di O. Araiz nella seconda parte, mentre pregnante e suggestiva è stata Thais su musica di Massenet e assai convincente la chiusura con Arlesienne interpretata da Isabelle Ciaravola e Alessio Carbone. Un programma che alcuni colleghi critici definirebbero senz’altro” popolare” ma che a ragione avvicina il grande pubblico all’affascinante mondo della grande danza molto più di tante cervellotiche coreografie intellettualistiche e noiose. Interessante è stata poi la conversazione finale fra Alessio e Giuseppe Carbone, padre e figlio a confronto: due generazioni e due mondi con punti in comune e divergenze. Grande successo per tutti.

Roméo et Juliette della Waltz alla Scala

sabato 12 gennaio 2013

Se Hector Berlioz non è indubbiamente il compositore più noto e amato sulle scene italiane e la sua musica non fra le più danzabili in assoluto, una ragione ci dovrà pur essere. Nonostante ciò la versione di Romeo e Giulietta, celebre dramma Shakespeariano, andata in scena al Teatro alla Scala con ben dieci recite fra questa fine d’anno e inizio gennaio, ha avuto un grande successo e non immotivato.  Molte sono le coreografie dipanate sulla più celebre partitura di Sergei Prokofiev . Sasha Waltz, coreografa tedesca, fa parte in qualche modo di quella corrente chiamata “Tanz-theater” . Il lavoro della Waltz su Berlioz, è un atto unico di un’ora e 45 minuti anche se non fa gridare al miracolo per originalità di linguaggio coreografico, ha comunque un suo motivo d’essere e una sua dignità artistica. Lontana anni luce dalla cupezza espressiva di Pina Bausch, riesce a trasfondere alla sua creazione comunicatività e lirismo. Con grande femminilità e impronta contemporanea non dilania strutture e spezza il movimento ma lo lascia fluire con continuità espressiva. Certo la potenza ispirata dalla dirompenza di Berlioz non sembrano averla scossa in fondo più di tanto. E’un balletto di grandi insiemi di fazioni avverse com’è giusto ma anche di assoli assai pregnanti come quello di Giulietta e del veleno o quello di Romeo prima della morte. La seconda parte diventa assai corale nello spiegamento dei vivi rispetto ai morti a causa dell’amore. Sentita e profonda la linea del corpo di ballo della Scala che ha filtrato con intelligenza e sensibilità la creazione della Waltz. Emanuela Montanari è stata una Giulietta più che centrata nella plasticità mai fine a se stessa ma autenticamente protagonista.  Antonino Sutera  è stato un Romeo non sempre incisivo ma tecnicamente più che adeguato.  Autorevole e statuario il Frate Lorenzo di Mick Zeni. La direzione orchestrale  di James  Conlon è stata più che significativa mentre nessuno dei tre solisti vocali ci è sembrato degno di gran nota. Grande successo alla recita di martedì 8 gennaio. 

Excelsior come nuovo alla Scala

lunedì 6 febbraio 2012

“Ancora Excelsior” sbottava una signora contemplando la locandina qualche sera orsono fuori dal Teatro alla Scala. In effetti il titolo non è certo fra i più nuovi e originali che si possano oggi programmare. Ma la tradizione vuole la sua parte  e soprattutto in momenti di grave crisi come questa, non solo economica ma anche di valori, è giusto dare al pubblico momenti di sano divertimento, soprattutto se sostenuto da una solida base storico-drammaturgico-musicale.

Il “ballettone” di Luigi Manzotti su musiche di Romualdo Marenco e coreografie di Ugo dell’Ara appariva qualche sera fa in splendida forma. Completamente rivistato e rinfrescato nei costumi sgargianti e privi di quel plumbeo velo radical-chic oggi tanto di moda non solo nel mondo della danza e a teatro. Ottimismo positivista presente infatti in ogni recondito meandro della imponente struttura drammaturgica che alterna quadri dominati dalla Luce a quelli imposti dall’Oscurantismo. Ciò che colpiva era la freschezza di esecuzione dell’intero corpo di ballo che dava l’impressione, peraltro non abituale, di eseguire la coreografia con quello slancio e quel buonumore che fanno parte dello stile originale della composizione. Lo spirito per certi aspetti circense della musica di Marenco  e della coreografia di Dell’Ara, apparivano in tutto il suo splendore. La rutilante esecuzione musicale di David Coleman, specialista del genere, ben lontano dal seguire i capricci dei ballerini, teneva imperterrita i tempi musicali senza troppo curarsi dell’aplomb neppure dei solisti. L’effetto era comunque raggiunto. Alina Somova , nella parte della Civiltà decisamente filiforme ed aristocratica, presentava leggerezza e distacco in ogni momento, e costituiva con Roberto Bolle una coppia di rara luminosità esecutiva e stilistica.

Molto meno in forma appariva invece Marta Romagna alla cui esperienza si sarebbe richiesta una maggiore convinzione nell’impegnativo ruolo della Luce. Pregnante era invece L’Oscurantismo di Massimo Garon. Seducente la Mora indiana di Sabrina Brazzo. Gran successo per tutti alla recita del 25 gennaio.

NYC Ballet a Trieste

lunedì 19 dicembre 2011

Se New York è la città della danza, è indubbio che il suo principale corpo di ballo è il New York City Ballet. Creato molti anni orsono da George Balanchine fu fatto conoscere in Italia dalla mai dimenticata rassegna  chiamata Maratona d’estate. La preparazione di Vittoria Ottolenghi, decana dei critici di danza illustrava approfonditamente i percorsi della compagnia di George Balanchine. Il massimo coreografo di origine russa ma naturalizzato americano ormai da diversi anni è oggi ritenuto classico mentre appariva allora come un fondamentale creatore di danza astratta Il Rossetti di Trieste in una sala affollatissima ha presentato un programma di tutto rispetto, anche se con pochi danzatori, sette principals andati in scena il 26 ottobre in una serata che saranno in molti a ricordare. Apollo Musagète, celeberrimo biglietto da visita di Balanchine, ha aperto una serata che è andata in crescendo. Gonzalo Garcia il protagonista maschile non ci è sembrato incarnare in particolar modo quella bellezza cosiddetta apollinea che è insita nel ruolo. Indubbiamente più convincente è stato il passo a due Diamonds nella bella linea di Sara Mearns e Tyler Angle. Protagonisti del celeberrimo Stars and Stripes su musica di Sousa Ashley Bouder  e Amar Ramsar. Five Variations on a thème era poi il piacevole pezzo su musica di Bach dove l’agile e veloce Joaquin de Luz si esprimeva nelle note variazioni in cui non possiamo dimenticare il celeberrimo Baryshnikov . Suggestivo è stato poi After the rain di Christopher Wheeldon che seguendo l’impostazione balanchiniana ha costruito una plastica concatenazione coreografica. Il clou della serata è stato indubbiamente Who cares? Un omaggio di Balanchine a George Gershwin distribuito in otto pezzi in un susseguirsi incessante di assoli e passi a due. Qui stava la vera cifra coreografica ma soprattutto il vero mood di questo corpo di ballo che non appare più come “contemporaneo” ma ormai classico che più classico non si può proprio nella sua astrattezza. La grande atmosfera newyorkese di Broadway, quell’indescrivibile feeling cittadino che ti fa sentire al centro del mondo e apparire unico tutto ciò che lì avviene. Ecco il New York City Ballet non è più dicevamo la contemporaneità, ma è diventato il classico per eccellenza, la pura rarefatta danza classica quella che non ha bisogno di scene, di costumi, di trame fantasiose, ma che è la sola vera danza pura. Il tutto eseguito nel modo più disinvolto, elegante e apparentemente spensierato, come solo Balanchine sapeva ispirare. Grande successo di pubblico nell’unica serata triestina.