Archivio della Categoria 'Balletto'

Eleonora Duse alla Fenice

mercoledì 12 febbraio 2020

Abbiamo sempre riconosciuto a John Neumeier un ruolo predominante nel panorama internazionale dei grandi coreografi e non potrebbe essere altrimenti. La sua Marguerite et Armand sull’indimenticabnile concerto per pianoforte e orchestra di Chopin è fra le più commoventi rappresentazioni dell’infelice amore della Signora delle Camelie. Il Gran Teatro alla Fenice ha storicamente avuto con il coreografo tedesco un ruolo preferenziale, che ha permesso di portare a compimento la creazione delle Fantasie coreografiche di cui il grande coreografo ha curato anche le scene le luci e i costumi. Alessandra Ferri, non più giovanissima, ma sempre in possesso di una carica drammatica non indifferente è stata così al centro di una creazione irripetibile, concepita sulle sue capacità espressive. Ferri tralascia ogni aspetto virtuosistico per concentrarsi su quelli meramente lirici di una vita intensa nei diversi amori della grande diva vissuti da protagonista come una moderna eroina. Le musiche di accompagnamento che in Neumeier come in tutti i grandi coreografi non sono mai secondarie, ma sempre al centro dell’azione erano di Britten e di Part e sono apparse quasi sempre suggestive e pregnanti anche se talvolta mancavano di parti brillanti o almeno non tristissime. Un’ atmosfera plumbea nella lunga prima parte che terminava con gli imponenti funerali della diva. Nella seconda parte si respirava un’aria molto più lirica in cui la diva rievocava i suoi passati quattro amori : il seduttore, il soldato , il mentore e soprattutto il suo pubblico. Notevoli tutti e quattro i danzatori : Karen Azatyan , Alexandr Trusch Alexandre Riabko, come pure Marc Jubete. Rimarchevole la prestazione dell’Hamburg Ballet come da aspettative. L’Orchestra della Fenice era ottimamente diretta da Luciano Di Martino.

Don Chisciotte al Verdi di Trieste

domenica 22 dicembre 2019

Lviv National Opera indica la locandina del Verdi di Trieste. Trattasi in realtà della molto più celebre Leopoli , una grande città ben nota passata sotto la dominazione austroungarica e dove anche gli influssi architettonici italiani sono ben presenti. Questa osservazione  avrebbe forse attirato al teatro Verdi un maggiore afflusso in una città non appassionatissima al balletto come all’opera. Nonostante una certa personale e ingiustificata difidenza nei confronti di un corpo di ballo che non conoscevamo, il nostro giudizio è stato più che buono. L’allestimento di Lviv , pur con scene dipinte e assolutamente tradizionali, funzionava perfettamente dal punto di vista drammaturgico anche nelle parti mimate. Esse apparivano  parte integrante assolutamente non trascurabile nella trasposizione coreografica dal testo di Cervantes. Un giovane corpo di ballo scattante e veloce sia nel settore maschile come in quello femminile, sia negli insiemi come nelle parti solistiche . Forse l’unico limite di questa esecuzione peraltro pregevole e spassosa, era una velocità esasperata portata talvolta al parossismo. Un ritmo sempre rapidissimo che si stemperava solo nell’atto delle driadi, eseguito piuttosto bene finalmente senza troppi spasimi.  Ottima la coppia dei protagonisti ben fusa fra  loro con facilità di esecuzione e bei virtuosismi in particolare nei celebri fouettéés finali anche tripli. Kitri era una leggiadra Yaryna Kotys, mentre il giovane agilissimo Olexsander Omelchenko ritraeva un Basilio scattante e dinamico come pochi. Il Don Chisciotte di Yuriy Grygoriev era elegante e non parossistico,  mentre il Sancho Panza di Borys Yakubus non eccedeva per ridicolaggine. Anche il Gamache di Vitaliy Ryzyy si distingueva. La direzione orchestrale di Yuriy Bervetsky accentuava forse un po’troppo spesso l’aspetto bandistico della partitura ma dava sempre il senso della danza . Caloroso il trionfo finale alla prima.

Romeo e Giulietta alla Fenice

sabato 22 dicembre 2018

Il mito di Romeo  e Giulietta è indubbiamente uno fra i più celebri drammi rappresentati  nella storia della musica e non solo della danza. Jean Christophe Maillot già nel 1996 portò in scena questo titolo ma che visto oggi non sembra affatto datato . Lo stile del coreografo francese alla testa del Ballet de Montecarlo pur essendo infatti  molto personale anche se fondamentalmente neoclassico ha ancor oggi una sua ragion d’essere sospeso fra classicità e modernità con un vocabolario gestuale ancora attuale. Scene stilizzate  e costumi bianchi e neri, atti giustamente ad attualizzare  un dramma amoroso che come pochi altri va al di là di un ‘epoca precisa per essere quello di ogni tempo.  In più Romeo e Giulietta a dispetto di altri grandi classici gode del fatto che non vi è una vera e propria versione coreografica cristallizzata dalla tradizione. Sarà forse per questo che la coreografia presentata a Venezia da Maillot non ha dato più di tanto un senso di trasgressione . Per la verità anche se la successione musicale delle scene non è necessariamente quella abituale , ad esempio il terzetto dei tre amici non compariva, il canovaccio narrativo era abbastanza rispettato. Più in particolare la figura di frate Lorenzo oltre ad avere in generale più peso drammatico, aveva su di sé una sorta di ombra inquietante. Anche la figura di Madonna Capuleti  godeva in questa moderna versione di una particolare considerazione e diveniva una figura centrale . La celeberrima partitura di Sergei Prokofiev veniva assai degnamente resa dall’Orchestra del Teatro alla Fenice sotto la direzione di Nicolas Brochotche ben conferiva la giusta teatralità e i giusti tempi all’immortale capolavoro del 1938 facendolo risultare assolutamente contemporaneo. Giulietta era una struggente Anna Blackwell mentre il Romeo di Alexis Oliveira soddisfaceva pienamente. Il nutrito Corpo di ballo di Montecarlo appariva compatto e scattante in una coreografia piena di dinamicità e charme. Grande successo in un teatro gremito alla prima.

Bella addormentata a Trieste

mercoledì 12 dicembre 2018

Nel periodo prenatalizio Il balletto classico gode da sempre una stagione assai felice. E’ stato così che il teatro Verdi di Trieste non si è lasciato sfuggire l’occasione di rappresentare quello che è probabilmente il titolo più complesso dell’intero repertorio: “La bella addormentata” su musiche di Ciaikovski e coreografie di Marius Petipa. Per l’occasione è stato così invitato il balletto dell’Opera di stato di Odessa, che con un organico di circa 60 ballerini ha presentato una versione scenica nel suo insieme degna della grande tradizione di questo balletto. Pur con scene dipinte ma accurate di Evgeny Gurenko e colorati costumi di Sergei Vasyilyev . Il fatato mondo dell’immortale fiaba di Perrault, attraverso la suggestione della danza riusciva a convincere il folto plaudente pubblico triestino della prima. Vi è sempre un certo rischio di cadere nel kitsch o nel rococò, cosi lontano dallo stile attuale minimalista e scarno. Nell’affrontare titoli come questo lo si sa a priori, ma è giusto realizzare ciò che piaceva alla corte dello zar nel 1890, con la massima cura e rispetto. Detto questo l’aspetto musicale era ben sostenuto dalla direzione di Igor Chernetski che dava quel giusto senso” pompier”, che se vogliamo è sempre presente nelle musiche di Ciaikovsky. Il ricco organico richiesto per l’esecuzione di questo fastoso balletto che comprende ben sei soliste solo per la rappresentazione delle fate, appariva in tutta la sua completezza . Protagonista Olena Dobryanska che, pur se non giovanissima ed eclatant,e sembrava ben conoscere la tecnica e lo stile del ruolo di Aurora. A questo impegnativo ruolo avremmo desiderato veder conferita maggiore sicurezza negli equilibri, sia dell”Adagio della rosa” come pure degli altri passi a due . Ben sicuro appariva invece al suo fianco il Desiré di Stanislav Skrinnyk dall’elegante figura . Alina Sharay era una degna Fata dei Lillà mentre Bogdan Chabanyuk una convincente fata Carabosse. La direzione orchestrale di Igor Chernetsky dava tutta quella teatralità necessaria alla buona esecuzione del balletto. Grande successo alla prima rappresentazione.
Ben diverso il risultato artistico del Lago dei cigni andato in scena al Teatro Comunale di Monfalcone rappresentato dal teatro Accademico Municipale dell’Opera di Kiev. Preferiamo stendere un pietoso velo, sul livello dell’allestimento che si potrebbe definire “ da camera “ se così si potesse fare nel rappresentare uno fra i più celebri balletti della storia della danza. Un unico velo dipinto sulla scena , un principe improbabile e costumi di assoluta modestia . Sala mezza vuota ma plaudente alla fine di uno spettacolo non a livello delle ottime proposte del Teatro di Monfalcone che speriamo di poter apprezzare in altre serate più felici.

Grupo Corpo a Lubiana

giovedì 22 novembre 2018

Quella del Grupo Corpo è una danza intensa, estrema, irrefrenabile destinata a dare emozioni forti. Può piacere o non piacere ma ci trasporta comunque in un vortice di ritmo a volte ossessivo. Sembra come se non ci si potesse mai fermare mai avere un attimo di pausa o di riflessione intima. Partendo dalla Danza SinFonica in cui i 21 elementi divisi equamente fra maschi e femmine si succedono in un vorticoso alternarsi di forze antagoniste nelle quali non vi sono tracce di svenevolezze. I ritmi musicali incessanti delle tradizioni popolari americane sono intrecciati a quelli più moderni e spasmodici . Quello che colpisce sono poi i corpi eccezionalmente muscolosi delle ballerine che ricordano quelli di appartenenti a sport fra i più energici. In tutti i casi la Danza Sinfonica rimane comunque una sorta di testamento spirituale dello stile pluriennale della compagnia e del coreografo Pederneiras . il secondo pezzo presentato” Gira” del 2017 era invece connotato da una maggiore attenzione ai motivi religiosi di origine afroamericana ricordati anche dagli ampi costumi bianchi. Le musiche espressamente composte da Metà Meta, su antichi temi tribali di origine religios,a ben rendevano l’azione. Anche qui il rutilante succedersi di impetuosi ritmi afrocubani trovava nella forza magnetica di corpi maschili e femminili parificati sia nei costumi, come nella mancanza totale di ogni femminilità, una fra le caratteristiche più evidenti. Grande comunque l’accuratezza e l’ efficienza esecutiva nella spasmodica velocità di esecuzione. Trionfo e folto pubblico il 14 Novembre a Lubiana alla Cankarjev dom.

Bayadère alla Scala

giovedì 13 settembre 2018

Fra i grandi balletti dell’Ottocento la Bayadère su musica di Ludwig Minkus è indubbiamente fra quelli entrato più tardi in repertorio. Custodito gelosamente dalle due massime compagnie russe Bolshoi e Kirov fu per merito dei grandi danzatori Natalia Makarova e Rudolf Nureyev che fu diffuso in occidente. La versione portata in questi giorni al teatro alla Scala si con la firma di Yuri Grigorovic è datata 1991 ma è solidamente basata sul capolavoro di Marius Petipa. Il solo atto bianco in questo caso “atto delle ombre “ costituisce , un esempio della genialità del coreografo. Quando infatti il principe Solor disperato per la perdita dell’ amata Nikya si abbandona all’oppio il suo sogno fatato vede moltiplicarsi l’amata in 32 creature celesti. La versione di Grigorovic termina con questo sogno senza dare seguito all’ultimo atto con il crollo del tempio . La versione presentata dal Bolshoi pur nello sfarzo di costumi e scene di Nikolaj Saronov voleva riportare una volta tanto lo spettatore alle originali ambientazioni di gusto orientaleggiante tipiche dello splendore della Russia del 1877. L’esecuzione del Bolshoi dei primi due atti in particolare dell’atto dei festeggiamenti per le nozze di Solor è stata adeguata alle aspettative sia nella resa scenica come in quella musicale con la direzione di Pavel Sorokin alla testa del’Orchestra Scaligera. Margarita Srainer è stata una discreta Gamzatti , mentre Olga Smirnova attesissima étoile moscovita ha lasciato senza fiato per eleganza stile leggerezza in particolare di braccia mani e polsi fra i più leggiadri che si possano immaginare. Semen Cudin è stato un Solor aristocratico e pregnante in ogni suo momento sulla scena. Non esagerato nei virtuosismi ma sempre di una classicità antologica. Il terzo atto è fra quelli che non si possono più dimenticare con le tre variazioni delle Ombre e con l’essenzialità aerea del celebre passo a due del velo che lega indissolubilmente le anime innamorate. Una mimica non troppo aggiornata e volutamente “ancien gout”non ha inficiato la grande riuscita di questa Bayadère da antologia . Trionfo scaligero in un teatro affollato come non si vedeva da tempo.

Gala des Etoiles alla Fenice

venerdì 27 luglio 2018

Fra le tante deformazioni imposte da certa intellighenzia radical chic vi è senza dubbio il disinteresse nei confronti dei gala des ètoiles così amati dal pubblico che affolla i teatri di tutto il mondo. Quello della Fenice a cura di Daniele Cipriani andato in scena la scorsa domenica ha riservato non poche sorprese. Di grande fascino il duetto iniziale Adagietto su coreografie di Neumeier nella sensualissima interpretazione di Silvia Azzoni e Alexander Ryabko che ci sono invece piaciuti assai meno nella seconda parte in DonGiovanni sempre di Neumeier. Assai convincente Sergio Bernal in Farmaca del Molinero .Lucia Lacarra e Marlon Dino davano del primo pas de deux del Lago dei cigni una toccante interpretazione, come pure nella seconda parte di Spiral Twist di Russell Maliphant. Meno charmant era invece Liudmila Konovalova nell’ ultimo pas de deux della Bella Addormentata con un valido Denis Rodkin. Più calzante nel Cigno Nero interpretato in seguito. Sensualissimi Maria Shrinkina e Vladimir Shklyarov in Spartacus e decisamente sfavillanti nel Corsaire che chiudeva la serata . Vera rivelazione è stato invece Damil Simkin accompagnato da Tatiana Melnik prima nel Don Chisciotte poi da solo in Bourgeois di Ben Cauwenbergh . In questo danzatore l’eccezionale tecnica è legata a doti fisiche pressoché uniche. Anche Sergio Bernal nella coreografia del Cigno di Ricardo Rue convinceva in una rivisitazione della classica Morte del Cigno di tradizione. Gran successo di pubblico per tutti.

Giselle al Verdi di Trieste

giovedì 4 gennaio 2018

Il repertorio ballettistico classico è abbastanza ridotto se consideriamo che i titoli sono al massimo una trentina. Giselle di Adolphe Adam su coreografie di Coralli e Perrot risulta da sempre nei teatri di tutto il mondo ai primissimi posti non solo per numero di rappresentazioni ma anche per varietà di allestimenti più o meno tradizionali. Sta indubbiamente nella grande semplicità di ispirazione e anche nella freschezza dell’esecuzione il segreto del più eseguito fra i balletti romantici del primo Ottocento. Chi scrive non può infatti dimenticare di aver assistito al Verdi di Trieste nel lontano 1979 a una recita in cui Anna Razzi interpretava il ruolo principale con una pregnanza e una drammaticità assolute non certo inferiori a quelle della molto più conclamata Carla Fracci personaggio popolare ma non sempre eccelso nella tecnica. L’allestimento di Rafael Avnikjan del Teatro Nazionale di Maribor si rivelava assolutamente classico nella tradizione senza essere vetusto o polveroso come potrebbe apparire a noi vecchi appassionati di danza classico accademica . Le belle scene di Juan Guillermo Nova e i costumi di Luca Dall’Alpi pur non dicendo niente di nuovo e di molto personale, ben descrivevano il tragico tema del testo di Théophile Gautier. Il problema di questo allestimento consisteva piuttosto nella precipitosissima direzione orchestrale di Simon Robinson che dei tempi della danza sembrava avere un ‘idea assai vaga costringendo gli esecutori a una folle corsa tutt’altro che comprensibile per un balletto romantico di primo Ottocento. La fretta non era affatto una caratteristica romantica ! i deliri nevrotici fanno parte del secolo ventesimo non certo del diciannovesimo ci verrebbe da dire. Il corpo di ballo sia maschile che femminile ha ben espresso sia nel primo atto come nel secondo lo stile a tratti preromantico del balletto di Adam .Giselle era Yui Sugawara di origini evidentemente asiatiche dal fisico armonioso ma dal volto non sempre così espressivo come la grande scena della follia nel primo atto richiederebbe. Ben altro lo spessore interpretativo dell’Albrecht di Constantine Allen vero danseur noble, ma anche intenso nella profondità drammatica . Sytze Jan Luske era un credibile Hilarion come pure discreta la Myrtha di Olga Hartmann Marin. Il pubblico accorso in una data particolare come quella del 27, fra Natale e Capodanno, ha gradito calorosamente l’agile allestimento sloveno .

Coppélia al Giovanni da Udine

mercoledì 11 gennaio 2017

Perché Coppelia viene da chiedersi? In realtà una vera risposta non ci sembra di poterla dare in tutta sincerità  dopo la visione della Coppelia di Amedeo Amodio andata in scena domenica scorsa al Giovanni da Udine ad inaugurare la stagione di balletti del teatro udinese. Fra i meno rappresentati del grande repertorio classico ,Coppelia ha dalla sua una fra le più preziose e sfolgoranti partiture dell’intero repertorio e qualche rivisitazione quale quella del mai dimenticato Roland Petit. Il coreografo italiano Amodio alla testa del Corpo di ballo Daniele Cipriani Entertainment, preferisce  allontanarsi di molto dalla trama originale del balletto tratto dal  racconto di Hoffmann per incentrare la drammaturgia nel mondo del cinema e in particolare di Hollywood. Il giovane Nataniele rivela tutte le sue aspirazioni ma anche i suoi incubi di giovane attore in erba. La seconda parte del balletto poi abbandona la partitura originale per avvicinarsi a un vero e proprio musical più che al magico balletto di Delibes. La creazione di Amodio che risale in realtà al 1995 non ha dalla sua il pregio dell’originalità, visto che lo stesso Nureyev aveva ambientato la sua Bella Addormentata nel fatato mondo di Hollywood, ma non riveste peraltro quasi mai una grande intensità drammaturgica, se non fosse per il passo a due del secondo atto interpretato con buon affiatamento da Anbeta Toromani e Alessandro Macario, i due validi protagonisti. Manca in questa creazione non solo una ricchezza di vocabolario coreografico sia esso classico o moderno ma anche una sana e profonda urgenza creativa che sarebbe riuscita a rendere l’insieme meno noioso e scontato. Anche il coté drammatico con le figure dei personaggi cinematografici appariva piuttosto debole in quanto poco caratterizzato come horror. Tutto ciò senza voler togliere nulla alla ottima professionalità dimostrata dal corpo di ballo e  dai solisti fra cui la Toromani si poneva ben in evidenza per  eleganza e facilità tecnica.

Virginia Raffaele a Udine

venerdì 11 novembre 2016

“Difficile far piangere ma più difficile far ridere” recita un vecchio concetto teatrale ma sempre attuale. Virginia Raffaele la giovane comica romana trionfatrice televisiva sanremese non ha certo di questi problemi perché la vis comica ce l’ha nel sangue. Artista poliedrica di provenienza familiare circense ha molte frecce al suo arco : di bella presenza , di buon carisma senza dubbio. Si può permettere dunque di non tenere troppo in considerazione i diktat della comicità imperante di stampo convenzional radical chic ma soprattutto politically correct alla Paolo Rossi o meglio alla Lella Costa per intendersi. Certo un personaggio come Francesca Pascale , l’ultima fra le celebre amanti del Silvio nazionale non poteva mancare, ma l’obiettivo della Raffaele non è certo la satira politica e gliene dobbiamo dare atto. Piuttosto quella di costume basata sui personali tics di celebri personaggi come ad esempio Carla Fracci di cui la Raffaele ha per la prima volta osato toccare l’icona. Bianchi gli abiti per svecchiare anche con il classico chignon delle bambine delle scuole di danza, trucco marcato ma soprattutto braccia sempre allungate a cigno nonostante la schiena rigida, quarta posizione sempre ostentata . Viene riservata la scena finale alla Fracci: comica, dinoccolata alla Totò con rara tecnica attoriale. In più quella punta di cattiveria con frasi come”la danza è sofferenza” infarcite alle giovani allieve da ogni maestra di danza di vecchia generazione. O il ribrezzo davanti a un mazzo di fiori non abbastanza importante a riconoscimento della propria celebrità. Azzeccatissimo è stato il titolo Performance scandito ripetutamente con accento filoamericano come per ridicolizzare se ce ne fosse ancora bisogno, tanti spettacoli di danza triti e ritriti esibiti frequentemente come perle di teatro danza. Certo in alcuni momenti il tono non è sempre allo zenit ma anche il coté patetico- sentimentale non è mancato ad esempio nel personaggio fondamentale della poetessa transessuale Paola Gilberto Do Mar con la sua scomoda e vilipesa identità sessuale. Da non dimenticare anche Ornella Vanoni con il suo grande fascino retrò e la sua spiccata personalità non meno che una Belen Rodriguez costantentemente piegata all’indietro sulle reni ma soprattutto su tacchi vertiginosi. Belen comoda, nel distendersi sulle poltrone già occupate da spettatori naturalmente di sesso maschile. Da non dimenticare soprattutto la bella vocalità sensuale esibita dalla Raffaele nell’imitazione ad esempio della cantante Emma dai capelli color elettrico. Grande trionfo con applausi a scena aperta.